Dott. Concetto Del Popolo

 della Università degli studi di Torino:
Dipartimento di Filologia, Linguistica e Tradizione classica
Via Sant'Ottavio, 20; 10124 Torino, Italia:  Dipartimento: tel. 0116703574

 

 

Un quaresimale del beato Matteo di Agrigento[1]

 

 

Le prediche del b. Matteo

 

Campo di Siena, domenica 17 agosto 1427: nella predica «nel­la qua­le tratta delle parti vuole avere il predicatore»[2], par­­lando di coloro che ipo­cri­­­ta­men­­te si di­ce­vano suoi compagni, san Bernardino invita il pub­blico a met­ter­li alla prova; poi ag­giun­­ge: «Io ho bene de’ compagni che so’ buoni, e so di tali i quali so’ di tanta buona vita, e fan­no tanto frutto, che è una maraviglia. Fra ’ quali è uno fra­te Mat­teo di Cicilia, il quale ha ri­dotto un re alla fede cristiana con tutto quello paese»[3]. Gran­ pre­­di­ca­tore e uomo di santa vita fu Matteo di Agrigento; a lui allude il Senese e al quaresimale te­nu­to dal con­fratello in Valenza nello stesso anno[4].

Finora del frate sono editi solo dei Sermones varii[5], di im­portanza fondamentale, al di là dei contenuti, per due motivi: il primo, perché conservati in un ms. au­to­grafo, co­me dimostra l’editore, il p. A­mo­re; il se­con­do, per­­ché mette a dispo­si­­zio­ne il suo tipo di lin­gua, stabilendo co­sí, pur con tutti i limiti che il prin­ci­pio comporta, un pilastro di riferimento, l’u­sus scri­ben­­di, per com­­pa­ra­zioni e decisioni in tutti i casi di te­sto cor­rotto o in­cer­­to, data la difficile situazione della lingua mescidata. Questo secondo mo­­­ti­vo diventa capitale, poiché il testo di cui trat­tiamo reca nell’u­ni­co co­dice no­to, il ms. 18 II 3 della Bibl. Pier­vis­sa­ni di No­ce­ra Umbra, il ti­to­lo: Qua­dragessi­male fra­tris Ma­thei de Cicilia, ordinis mi­no­rum. Si evi­den­zi che il ms., che siglo N, non è autografo, ed il titolo col nome dell’autore non è della stessa mano che ha trascritto il testo, ma di un’altra, che ha usato una penna piú sottile e riempito lo spazio su­pe­rio­re della car­ta, rispetto al resto del co­dice; una terza mano ha aggiunto una Ta­bu­la a fronte del­la c.1r, cioè in quella che fun­ge da coperta, e di cui si darà piú avanti la tra­scri­zio­ne; sembra della secunda il ‘com­ple­ta­mento’, per maggiore chiarezza, di pa­rec­chi titoli dei ser­moni nel corso del ms.[6].

 

 

Il copista di N: frater Ulricus e l’autore

 

Il primo copista ha un nome, visto che a c. ccxxxijr scrive questo ex­pli­cit[7]:

 

Explicit hoc[8] vere, - scriptor vult precium habere[9].

 

Ego, frater Ulricus Lauffer de Alemannia, bon campanion, / complevi, auxi­li­an­te[10] Deo, hoc quadragesimale / in die sanctorum Gervasii et Protasii[11] 1448. A­men.

 

Esca datur gratis, - mos est ut malvasiam solvatis.

 

Et fac fuisti fenster dicht du munsts [mijnsts? mÿnsts?] nÿtt fac / fortis ante culum [?] eius fac ut scis sis vis obliviscis / perdis te permerdis omnia perhÿs [physicis?] drecle iser ob amore / betterlin recordabis.

 

La sottoscrizione è regolare, inserita fra due versi, con una strana aggiunta: in­fat­ti, si ha ex­plicit, nome e cognome del copista, seguito secondo il costume dei frati dalla patria e da un non usuale appellativo, ringraziamento implicito a Dio, ar­gomento dell’o­pe­ra, data della fine del lavoro indicata con la fe­sti­vi­tà; manca il nome dell’autore del Quadra­ge­simale e il luo­­go di scrittura. La stes­sa grafia ag­­giunge quel misto di latino e tedesco, che qual­cu­no, forse perché pare coprolalico lo stesso copista, ha cas­sa­to, ren­den­dolo quasi illeggibile[12]. È per­tanto e­vi­­den­te la dif­fe­renza esistente fra le prediche che ci sono pervenute come re­por­tatio, ad esem­pio pro­prio quelle in volgare di Bernar­di­no da Siena, e quelle di N, che è copia; e copia di un te­sto di ‘appunti privati’: ba­ste­reb­be una analisi minima (e la farò sul primo sermoe), per di­mo­strarlo. La repor­ta­tio è un testo ‘vi­vo’, che suttostà agli incon­ve­nienti della scrittura in ba­se alle abilità grafiche del ‘copista’ e alle sue capacità tachigrafiche per correre dietro al­­l’o­ralità, e subisce anche gli adattamenti ‘orali’ di chi par­la, predicando (o tenendo le­zio­ni, in altri casi), come ana­co­luti, ripetizioni, sospensioni di frasi, ripensamenti, e­scla­mazioni, etc., senza pos­sibilità di attuare sul momento cor­re­zio­­ni, se non velo­cis­sime e minime, oltre a quel­le apportabili in una fase di rilettura o ri­co­­pia­tura; ma que­st’ultima operazione si presta a diverso atteg­gia­men­to, perché la co­­­pia è ‘morta’, in­ca­pace di proprie mutazioni, pas­si­­bile di corre­zio­ni e interventi di ogni tipo. Am­met­tendo che l’ori­gi­na­le del beato non do­ves­­se essere chia­­rissimo, per la grafia[13] e per­ché ‘appunti pri­vati’, veri schemi da svi­lup­pare ed accenni ad epi­sodi nar­­ra­­tivi che si sarebbero resi piú e­spli­ci­ti durante la pre­di­cazione, la co­pia in no­stro pos­sesso - sarò esagerato e iper­bo­li­co - rende visibilmente con­­cre­ta l’i­dea di un co­dex pes­simus, in cui si notano tutti gli er­ro­ri del co­pista, che, co­me tali, vanno emendati. Anzi, la grafia del frate tedesco è general­mente una gotica chia­ra e leg­gibile, né si può dire che egli abbia fatto il lavoro in modo distrat­to, perché si trovano cor­­re­zioni, soprattutto dovute ad anticipo: re­sta­no iniziali o sil­­la­be sospese, per­­ché, accorgendosene, Ulrico ritorna all’or­dine del testo: questi elementi, abbinati all’eleganza della sottoscrizione, fanno supporre un ‘co­­pista di pro­fes­sio­ne’; sia­­mo sicuri, in­ve­ce, che non era buon cono­sci­to­re del latino e dei vol­gari i­ta­lici, poi­ché sono tali e tanti gli errori, molti com­pren­si­bili paleo­gra­fi­ca­men­te, che, no­no­stan­te le ap­pa­ren­ze del­l­a grafia, dob­bia­mo pensare che egli ignorasse pa­recchi nessi ta­chi­­­grafici, con­fusi leg­gen­­do e ricopiando; e non so fino a che punto co­no­­sces­se la Scrittura, dato che spesso tra­scrive salmi e altro solo con le i­ni­ziali delle singole pa­ro­le: è mia im­pres­sio­ne che copiasse automa­ti­ca­men­te, senza capire il senso generale ma accon­ten­tan­dosi della singola parola (e non sempre!); persino il testo bi­bli­co ri­sulta a volte errato e ciò non si può imputare all’autore, che cita ca­pitoli e nu­me­ra­zione dei salmi quasi sem­pre in modo corretto (an­che nei Sermones varii): mi sem­bra strano, pur se non im­pos­si­bi­le, che confondesse il te­sto e non i ca­pi­to­li! Si deve poi con­si­­­de­ra­re che Ul­rico co­pia per com­mis­sio­­­ne, non sap­pia­mo se di un frate o di u­no esterno all’ordine fran­­cescano, al qua­­le si sup­­pone ap­­par­tenesse anch’egli; in­­fatti nel­la sottoscrizione chiede di es­se­re ri­com­pen­­sato: «vult pre­cium ha­be­re»; la fra­­setta è di rito, perciò ‘neutra’, trascritta lí solo per­ché si usava chiu­dere il testo in modo formulare; la conferma viene dal tono del se­­­­con­­do verso, vera smentita della serietà del primo, per la malvasia, che non ho trovata in altri explicit. È vero che si tratta di ele­menti minimi per formulare una conclusione; ma, sop­pe­sando il poco rac­­colto, trova maggiore credito l’i­po­te­si che frater Ulri­cus fos­­­­se copista ‘di me­stiere’, ma­­gari di testi nella sua lingua! La con­clu­sione, comun­que, è importante, perché a lui - o alla sua copia - si dovranno ac­collare sviste ed er­rori di ogni tipo. Non trat­to delle poche righe latino-te­de­sche, per­ché paiono inde­cifrabili ed esulano dal mio com­­pito.

L’autore del Quadragesimale, se è lo stesso dei Sermones varii (necessarî ri­fe­ri­­menti di ogni comparazione), era di buona cul­tura, co­no­sce­va il latino non ancora toccato dalla nuova visione umanistica; latino me­die­vale, accetta­bilis­simo, con una sintassi sem­plice dalla quale traspare con evidenza il volgare, lingua con cui il latino è com­mi­sto senza soluzione di continuità; si trovano parole, espres­­sioni, in­te­re frasi in to­sca­no e in siciliano e anche in dialetti setten­trio­nali, poiché Matteo, come Bernardino e altri riformatori, correva per tutta la cristianità. Nel suo latino ci sono er­ro­ri, do­vuti all’uso quo­­­tidiano del volgare, come quando scrive splen frigida ‘milza fred­da’, in­­­vece di fri­gi­dus, es­sen­do splen maschile[14]; oppure delle sviste, come nell’attribuzione autografa a Pao­lo di fi­­dem con­sum­ma­vi, mar­cato col sic dall’editore, ma chiara eco del pre­cedente cur­sum con­sum­mavi[15]. La lettura del­le due o­pere mette in ri­sal­to ci­tazioni di au­torità, come i padri della Chiesa e i teologi; né man­­cano versi iacoponici; inoltre, nell’edizione dei Sermones varii si trova un com­po­ni­­­mento poetico per la morte di Cristo, cosa non del tutto estranea al modo di pre­di­ca­re pro­­prio dei fran­ce­­sca­ni, anche di Sicilia, stando alla Sposizione del Van­gelo del­la Pas­­sione se­­con­do Matteo, finita di scrivere «in vul­gari nostro siculo an­no Domini M° CCC° LXXIII°, die aprilis tercio, XIe in­di­cio­nis», di cui co­nosciamo con quasi cer­tez­za l’au­­tore, Niccolò Mon­ta­per­­ti di Agri­gen­to[16]: stra­na coin­ci­­denza, che ci porta al luogo di nascita di Mat­teo, al­l’e­­poca ancora in men­te Dei[17]. Dun­que, inserito nel Sermo passionis Do­mi­ni nos­tri Jesu Cristi[18], c’è un vero planctus: Venite, tucte o crea­ture, grati, che il De Bar­tho­lomaeis, ci­tato dal p. Amore, attribuisce al beato.

 

 

I Sermones varii : fonti, cultura, lingua e usus scribendi

 

L’e­di­zio­ne dei Sermones varii è ammiranda per la puntuale ricerca delle fon­ti[19], che con la collaborazione di altri studiosi si può completare: ad esempio, in Ad re­­li­­­giosas, si legge: «Auc­toritate. Absolvere se non pò chi non si penti»[20]; forse il beato non ri­cor­dava il nome dell’autore, ma si tratta di In­f. XXVII, 118, in cui Fran­ce­sco disputa col diavolo per l’anima di Guido da Mon­te­fel­tro, con la lezione di logica sul pentimento e l’as­so­lu­zione. Il testo è citato a me­mo­ria, e stando agli apparati delle due piú recenti edizioni critiche dan­te­sche (Pe­troc­­chi e San­gui­neti) non c’è co­dice che riporti l’anti­cipazione di se; al di là del fat­to che l’au­­­­to­re venga citato come au­to­ri­tà, ci sono da mettere in evidenza la co­no­scen­­za di Dante - si è nella prima metà del Quattro­cento -, anche se non sappiamo dove il frate ab­bia letto il testo, se in Sicilia o altrove, e il penti finale, sicuramente si­ci­lia­no[21]. Anzi, no­no­stante tutto il latino scritto dei ser­moni, penso che la pre­­­­di­ca­zione del beato fosse a­bi­­tual­mente in volgare, mentre i suoi appunti sono in ‘lin­gua mescidata’, in cui coesistono latino e to­scano e siciliano; né mi me­raviglierei se si tro­vassero degli ispanismi, dato il suo pre­dicare in Spagna. Per il ricordo dantesco non credo si debba tralasciare il fatto che l’episodio ri­guardi proprio san Francesco. Per le fonti, ag­giungo che, al De humilitate, quando si ricorda l’u­mil­tà di frate Mas­seo, biso­gna al­meno vedere i Fio­retti, cap. 32[22]; leg­gen­do: «E­xem­plum il­lius vi­due que amplius cepit oleum quam vas capere possit» mi pare che si ri­­man­di ad Eliseo (4 Rg 4, 1-7); non so se giudicare er­rore di stampa la maiu­sco­la in Merula, nell’«Exemplum beati Benedicti a Merula in de­serto temptati»[23], trat­tan­dosi della merla, secondo Gre­gorio Magno, Dialogi, II, ii. De temp­ta­tione carnis su­pe­rata (ma la fonte non è ci­ta­ta); non riesco a de­fi­nire la na­tu­ra del­l’er­ro­re evidente: «Mi­cha­el qui in­ter­­­pretatur ‘qui sum deus’»[24], poiché almeno ci vorrebbe il sic del­l’e­di­to­re, se non si tratta di svista e si deve pertanto leggere se­condo la quasi unanime tradizione: «Quis ut De­us». L’ultimo caso suggeri­sce altro lavoro da fa­re, cioè la ri­cerca delle e­ti­mologie, come quando Matteo scri­ve: «dis­ci­pli­na dicitur a dis­co, discis»[25]: non penso sia ca­suale che la stessa si ritrovi in U­guc­­cio­ne da Pisa[26], mentre lo è certo l’in­ter­pre­tatio di: «Ec­ce as­cendimus Jero­so­limam, qua­­si dicat si ‘visionem pacis’ vo­lumus possidere…»[27]: «beata pa­cis visio» era no­to, poiché se­con­do verso di Caelestis urbs, Ierusalem, inno In dedi­ca­tione Ec­cle­siae[28].

Lodevole nell’edizione dei Sermones varii è soprattutto l’ardua impresa di lettura o­pe­rata sulla grafia del beato[29], che spes­so usa abbreviazioni non co­mu­ni, forse perché l’autografo è un bro­gliac­cio, anche questi si­cu­ra­men­te ap­pun­ti non letti ma seguiti come trac­cia, nono­stan­te il mi­nu­tis­simo svilup­po di tipo sco­lastico di tante questioni, con infinite sud­­divi­sioni del­la materia; ma gli etc. e i con­sigli che l’autore si rivolge sono con­ferma per pen­sa­re ad un quaderno privatissimo, esat­ta­men­­te come per l’originale del codice N; e questo giustificherebbe di piú il passaggio di mano del ms., donato da Matteo a Giovanni da Capestrano, come segno di ami­ci­zia, se­­con­do l’i­po­tesi del p. Amore[30]. La grafia però rese ancora più arduo il compito del copista di N, che frain­ten­de­va i segni ta­chi­grafici; e all’editore moderno si presentano gli stessi problemi.

Nonostante tutto il lavoro compiuto, anche il te­sto dei Sermones varii merita re­vi­sio­ne, poiché confrontando la par­te stam­pata con la foto del f. 69v del cod. XXXII di Ca­pe­stra­no, ri­pro­dotta nella pa­gina ac­canto al titolo, si vedono im­pre­ci­sioni, al­cune mi­nime, altre che mo­di­fi­cano il sen­so, magari rendendo mag­giore giu­stizia all’autore. Per un raffronto, riporto le prime righe del­l’e­­di­zione del p. Amo­re (tra pa­rentesi quadre e in corsivo la mia let­tu­ra):

 

(f. 69va) Cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies. Ps. 50. Ubi tria notantur: primum, la sua diffinicione; secundum, la sua figuracione; tercium, la sua inducione.

Quantum ad primum, scilicet la sua diffinicione, tria sunt notanda: primo [primum, poiché nel ms. si legge pm] la quidità, secundo [secundum, ms. 2m] la quantità, tercio [tercium vel tertium, ms. 3m] la virtuosità. Primo è, core in­te­gro et in­durato. Eccl. 3: Cor durum male habebit in novissimo; huic re­ces­­sit [re­­sis­tit] Deus sicut incus malleo resaltanti. De quo Job: Cor durum nec com­puncio nec Deus. Se­cundo è, core [si leggono parole indecifrabili sulla fo­to, su­bito cassate, ma in ap­pa­rato non si dice; e di seguito] in parte spe­za­to, sicut est cor usurarii vel avari (dic de res­titucione et avaricia), ligatum […]

 

Peccati veniali, eccetto recessit/resistit scritto per esteso, che muta il co­strutto (re­ce­dere col dativo?) e dà significato alla frase. Bi­so­gna inoltre pun­teg­giare: «Primo è core integro et indurato […] sicut incus malleo re­sal­tanti, de quo Job. Cor durum nec compuncio…». Le al­tre mi­nu­zie, però, specie le correzioni e le sostituzioni, in margine o in in­­ter­linea, ta­lo­ra con se­gno di richiamo talvolta no, vanno segnalate[31] con quel­la pre­ci­­sione ri­chie­sta a chi studia autografi, specie se questi di­ven­tano primum com­pa­ra­tionis con al­tre opere dello stesso autore, in una specie di ‘grammatica ideale’, in cui confluiscono, con i pensieri, anche le parole, con la pre­sun­zione critica dello stile per­so­na­le ed inimitabile. Non solo: ma la cosid­­detta ‘fi­lologia d’autore’ tro­ve­rebbe tan­ti ele­menti di studio, proprio nelle varianti e correzioni che il codice di Ca­pe­strano ci tra­manda. Delle sei aggiunte sul margine si­ni­stro della car­ta in que­stione ri­pro­dotta, so­lo tre si vedono trascritte in apparato; manca quel­la che si legge sul bordo su­periore e le po­che parole che si intravedono sul mar­gi­ne destro: la ri­­pro­duzione non rende possibile dar­ne qui conto[32]. Si aggiunga quan­to scrive lo studioso proprio per questo ser­mo­ne: «È il piú autentico ed originale di tutti i sermo­ni del B. Matteo, tante sono le cor­re­zioni e le note marginali autografe, anche quella che secondo il Chiap­pini sarebbe del Ca­­pe­stra­no»[33]; questo motivo cre­do sia stato quel­lo che ha fatto de­cidere l’editore sulla scelta del­­­la foto, ma lascia so­spettoso il lettore, soprat­tut­to perché, nei criteri di e­di­zione, lo studioso ricorda di essersi «at­te­nuto ad una scrupo­lo­sa trascrizione diplo­ma­tica […] Per mag­giore com­pren­sibilità del testo ho aggiunto qual­che segno di pun­teg­gia­tura…»[34]. Anche questa, co­me è quasi usuale in ogni edizione per­ché col tem­po cambia il sistema di indicarla, meriterebbe revi­sio­ne; nel caso spe­cifico, pro­prio di­ver­sa pun­teg­­­gia­tu­ra fa risaltare la citazione di Giobbe, mentre in apparato si legge: «Non inveni»; la fra­se, non letterale, rimanda a: «Cor eius indurabitur qua­si lapis et stringetur quasi mal­­le­a­toris incus» (Iob 41, 15); il caso, anche se si lavora su autografo, diventa para­dig­matico per provare l’affer­ma­zione con­­ti­niana che «ogni edi­zio­ne critica è ipotesi di lavoro»; e questo a dispetto del facile a­dom­bramento che le cri­ti­che potrebbero pro­vo­care nell’e­ditore[35]. Nella co­lon­­na b dello stesso fo­lium necessitano altre pun­­­­tua­liz­za­zioni, poiché le cancellature e le cor­­­rezioni sono ab­ba­stanza fitte: si legga: «Tunc stella magna, id est anima splen­dore Dei ymaginis il­lus­tra­ta, cecidit, id est totum corpus pec­ca­ti con­tri­vit», men­tre il ms. reca: «Tunc stella ni­gra [can­cel­lato e seguito da] mag­na, idest a­ni­ma Dei yma­­ginis illustrata cecidit», splen­­dore si tro­va scritto in interlinea sopra Dei ym, men­­tre un pic­colo segno fra anima e Dei indica la corretta posizione dell’ag­giunta. La cas­­satura per sostituzione e l’in­te­gra­zione della pa­rola omessa possono essere segnali di au­to­gra­fia.

Ancora. Nell’Introduzione, nel paragrafo Analisi ed e­lenco dei sermoni, il p. Amore accenna a problemi di composizione, in particolare a questioni di stile e di autenticità; e per cinque sermoni, tutti con il tema di Lc 18, 38, conclude affer­man­do­li autentici; dopo un’analisi minima dà «per ciascuno l’incipit e l’ex­pli­cit sia per de­ter­minare l’attri­bu­zione, sia per correggere qualche svista di lettura oc­cor­sa al pri­mo il­lu­stratore»[36]. Come spesso, pur­trop­po, succede, anche se si tratta di cose divine, il diavolo ci ha messo la coda, e, proprio in questo e­lenco, si trova «qual­che svista di lettura occorsa» al p. A­mo­re, e il testo stesso dei ser­moni lo con­fer­ma (mi auguro solo che ciò non accada a me pure). A riprova, del sermone di cui si è trattato sopra ri­por­to la de­scrizione nella co­lon­na a sinistra[37], mentre in quella di destra il testo del­l’e­di­zio­ne[38] (uni­formo i caratteri, per mettere in maiuscoletto le dif­fe­ren­ze; non se­gnalo però la di­ver­sa pun­teggiatura; ogni al­tra scritta è del p. Amore):

 

 (f. 69va-70va): De contricione. Cor con­tritum et humiliatum Deus non des­pi­cies. Psalmus 50.

Ubi tria no­tantur: primum la sua dif­fi­ni­cione, 2m la sua figuracione, 3m la sua in­­ducione.

Quantum ad primum: la sua dif­fi­ni­cione.

6a in quo statu anima ponitur quia in peiori quam anima posset esse, quia ab­ho­minabilis.

 

 (f. 69va) De Contricione. Cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies. Ps. 50.

Ubi tria notantur: primum, la sua dif­fi­ni­cione; secundum, la sua figuracione; tercium, la sua inducione.

Quantum ad primum, scilicet la sua dif­finicione, tria sunt notanda …

Sexta, in quo statu anima ponitur, quia in peiori quam anima posset esse, quia abho­mi­na­bilis.

 

Si tratta anche qui di minuzie, che, con l’omissione di scilicet, a livello di si­gni­­fi­cato no toccano il testo. Pure in altri sermoni sono sfuggite delle differenze; qui ri­por­to solo quelle del primo dei cinque sermoni «predicati a Napoli» con lo stesso tema di Lc 18, 38 (dai qua­li, ricordo, si traggono elementi di autenticità), lasciando ad altro mo­mento il con­­trol­lo del resto:

 

21. (f. 45va-46vb): De ieiunio. Jhesu fili David mise­rere mei. Luca 18.

Ista sunt verba ceci quem ut caritas vestra audivit evangelium refret (sic) affectantis. Que verba, carissimi, necessario habetis cum ceco isto clamante dicere Christo Jhesu pro civitate ista…

Ecce ascendimus Jerosolimam. Ubi no­ta­tur quod si ad celestem Jerusalem as­cendere cu­pi­mus 7 sunt necessarii gradus.

- Audite pauperculi et attendite fatui, magnum est quod dixi; et sicut ego in terra ita Dominus acceptat in gloria. Amen. Deo gratias. Amen.

 

De ieiunio. Jhesu fili David mise­rere mei. Luca 18.

Ista sunt verba ceci que, ut caritas vestra audivit, evangelium refert affectantis. Que verba, carissimi, necessario habetis cum ceco isto clamante dicere Christo Jhesu, pro civitate ista…

Ecce ascendimus Jerosolimam; ubi nota quod si ad celestem Jerusalem ascendere cupi­mus, 7 sunt veritatis gradus.

- Audite pauperculi et attendite fatui, magnum est quod dixi et sicut ego in terra ita Dominus acceptat in gloria. Amen. Deo gratias. Amen.

 

Un testo piú fermo è augurabile, poiché sorge il dubbio su quale de­fi­ni­re au­ten­tico, trattandosi di autografo; e non sempre le mende sono veniali[39]. Sotto l’a­spet­to lin­gui­sti­co, in par­ti­co­la­re, meravi­glia un figiol contro figliol al sermone 24, se non è errore di stam­pa, poiché, stan­­do alla Gram­ma­ti­ca storica del Rohlfs dovrebbe assegnarsi al­l’an­tico pa­dovano[40].

 

 

Matteo poeta?

 

La domanda ha già avuto una riposta, parlando della Lamentatio, il cui testo però merita maggiore attenzione[41]. Lo schema me­tri­co è del tutto inu­­sua­le, perché in quartine di ‘en­de­ca­sil­labi in­ca­tenati’: ABBA/ BCCB/ CDDC/ DEED…; a me non risultano altri esempi. Poi, da­to che il testo non deriva dal codice au­to­grafo, per la tra­scri­zione dei copisti necessita di qual­che emendatio negli er­ro­ri e­vi­­denti: «O voi, che de’ figloli et cari morti, / avete el vostro co­re as­sai do­­lente, / piangate tucti et non ces­sate mente: / chiascun repúte, chi piú li pia­ce, for­ti» (str. 18): mente do­vreb­be es­­sere nien­te, ‘piangete e non cessate mai, ciascuno pian­ga forte, come piú gli piace’; repute, a cui l’editore ha messo l’accento, accresce la li­sta dei pochi esempî di re­potare, che il GDLI, s.v., definisce «di area centrale (in par­ti­c[o­lare] umbra, mar­chi­­giana e ab[ruz­zese])»[42]; si aggiunga quel forti finale, che si tro­va in rima per­fetta, ma ap­pa­ren­te­­mente non è concordato con nessuno; difatti si trat­ta dell’av­ver­bio si­ci­lia­no, con -i, che for­­tu­na­ta­men­te la rima e i copisti hanno con­ser­vato[43]. E poi: «… gri­­dan­do ad lata voce, o Creatore» (str. 19), forse errore di stampa per alta; e: «Jesu pian­­gamo con pie­ga­to core» (str. 20), con la proba­bi­le allitterazione di pia­gato; ma occorre par­ti­re dai codici, per risolvere i problemi dell’anisosillabismo[44].

‘Vocazione poe­ti­ca’ alla rima facile in strut­ture litaniche si incontra piú volte: si veda ad esempio il ser­mo­ne De amore Dei[45], con una interminabile (e per noi caco­fo­ni­ca) sequela participiale in -ato:

 

Circa incarnacionem, vitam et mortem amantissimi Jhesu, humane generacionis clementissimus Salvator et Redemptor[46].

1) Per ti, Amore è incarnato. 2) Per ti, in la stalla nato. 3) Per ti, innel presepio reclinato. 4) Per ti, de panni vili et poverissimi la povirella Matre l’à infassato. 5) Per te, cu cultella de petra circumciso et insanguinato. 6) Per te, nel tempio presentato. 7) Per te, da lo impio Herode in Egipto fugato. 8) Per te, VII anni in grandi angustia et penuria exulato et scazato. 9) Per te, da la sua dulce Matre et Ioseph putativo patre tre dí absentato. 10) Per te, da Johan Baptista, suo servo, baptizato. 11) Pe te, nel deserto XL dí e XL nocti ieiunato. 12) Per te, dal dimonio temptato et impugnato[47]. 13) Per te, à predicato, et in multi miracoli corruscato. 14) Per te, al monte Tabor trasfigurato. 15) Per te, dal suo populo iudayco calupniato, reprobato et impugnato. 16) Per te, dal suo discipulo per preczo vilissimo venduto, traduto et fallato. 17) Per te, lu suo corpo et sangue, preciosissima memoria, t’à lassato. 18) Per te, al suo Patre onnipotente à orato. 19) Per te, de sudore sanguineo tucto è bagnato. 20) Per te, da li Iudei è priso et ligato. 21) Per te, à li occhi velati, bactuto, illuso e alla colupna ligato. 22) Per te, a Pilato falsamente accusato et portato. 23) Per te, da Herode de purpura vestito et beffato. 24) Per te, flagellato crudelmente et tucto insaguinato. 25) Per te, alla morte iniustamente dapnato. 26) Per te, de spini, che li passaro el zarvello, è coronato. 27) Per te, culla cruci in collo oppresso et fatigato. 28) Per te, da tucto lo proprio spoglato et denudato. 29) Per te, nella cruce in meczo dui latroni confixo et chiavato.  30) Per te, derisu et blasfemato. 31) Per te, è di fele et acito abiverato. 32) Per te, àve, per li sui crucifixuri, al Patre àve pregato (exemplo [per] chi non voli perdonare). 33) Per te, al latro il paradiso à donato. 34) Per te, al suo dilecto discipulo la sua afflicta Matre àve recommandato. 35) Per ti, al suo Patre lo spiritu à recommandato. 36) Per ti, lo spiritu à exalato. 37) Per ti, da la cruce è desciso et schiavato. 38) Per ti, al sepulcro è intumulato[48]. 39) Per ti, al limbo è desciso et li sancti patri à liberato. 40) Per ti, lo 3° dí è risuscitato. 41) Per ti, alli discipuli s’à dimostrato. 42) Per ti, al cielo, per ti apparichare in loco[49], è montato. 43) Per ti, lo Spiritu sancto ai discipuli à mandato.

 

Si ripercorre la Vita Christi, messa in risalto dall’anaforico per ti (certo piú dialettale di per te), e tutti i momenti sono mar­­cati dal facile participio passato, tanto da obbligare a 16 e 37 ad un hys­te­ron pro­teron; l’unica in­ter­­ruzione, non accettabile, sarebbe a 32, dove segnalo tra pa­ren­­­­te­si tonde il consiglio, men­tre il per è integrato dall’editore; si potrebbero ancora mettere in evi­den­­za gio­chet­ti e­timologici («4. poverissimi la povirella Matre»); le iterazioni sino­ni­mi­che («8. Per te, VII anni in grandi angustia et penuria - exulato et scazato», «16. traduto et fallato»[50], «27. op­pres­­so et fa­ti­ga­to», «28. spoglato et denudato», «29. confixo et chiavato»); la ripe­ti­zione sin­­tat­ti­ca di à­ve (ha­buit) a 32; il doppio recommandato di 34-35, unendo cosí il Padre con la Ma­dre, etc.

Nel Sermo passionis Do­mi­ni nos­tri Jesu Cristi[51], c’è, messo in evidenza dall’e­ditore, un gruppo di versi, quasi tutti con anafora ecco (probabile ricordo, ma non parafrasi, del li­tur­gi­co Ecce lignum crucis), con participi in -ato in rima e qualche as­so­nan­za litanica. Nello stesso sermone si aggiungano le citazioni iacoponiche e pseudo-ia­co­­poniche, oltre ad una strofe di un testo utilizzato solo col primo verso nel De dis­ci­pli­na[52], che, stante la strut­tura di endecasillabi a schema ABBA, sembra auto­ci­ta­zio­ne: «Aymè dolente, che pena angosciosa, / sente el mio core del mio dolce Figlio! / Moro, ta­pina, senza quillo mio gilglo! / Abassa uno poco la boca amorosa!» dice Maria la­men­tan­dosi.

Altre strofette sacre, di cui non è indicato l’autore, sono scritte in mar­gi­ne al sermone De audiendo verbo Dei:

 

Ihesú, summo splendore,

sperancia de’ peccatori,

di nostro obscuro core

sole sí[53] illuminante.

 

Ihesú, rosa divina,

d’ogni vertú repleta,

summa sí medicina

de tutti li infirmitati[54].

 

Escludo con quasi certezza che si debbano attribuire al beato, per­ché sembrano fram­men­ti di una struttura del tipo xx/aaax, quasi perfetta la prima (al pec­ca­tore, oppure ai, con plu­rale ma­­schi­le in -e, che riporterebbe il testo verso l’Umbria), emen­dan­da la se­conda (replina), dove anche ap­pare e­vi­­den­te l’a­nafora sul nome Gesú, su cui è co­strui­ta la lauda stessa; lascia per­ples­si la x, per l’assonanza, se non si deve supporre un in­firmante, che guarda piú agli uomini che non alle infirmitati. La scrittura sul mar­gine, ver­­­gata forse a me­mo­ria, denota in­teresse e sen­si­­bilità per il contenuto, che però è un te­sto poe­tico. La riprova viene dal sermone XXXVI di N, in cui si leggono diverse strofe di un testo molto simile (la x è in -ato), pur se manca piú volte il rispetto metrico e della rima; ne riporto le prime:

 

O Yhesú, nomen suave,

 

del paradixo sí chiave;

 

fonte dolze, che lave

 

ly nostri grandi peccati.

 

 

 

Yhesú, nome infiamante

5

el core di quelli toy amanti,

 

che cantano tutti quanti:

 

‘Amor, Yhesú incarnato’.

 

 

 

Ihesú, la toa dulceza

 

piena de suavicza;

10

may non cade in tristicza

 

lo cuor che t’à assigiato [55].

 

 

L’incipit corrisponde con quello riportato dal Tenneroni: Jesú, nome suave, / del pa­ra­diso chiave. Le imprecisioni metriche ed altro pare siano del copista, come il tem­pe­­state per tempestato, vera difficilior, mentre la voce è co­mu­ne all’italiano antico.

Hanno tutta l’aria di proverbio questi due perfetti ende­ca­sillabi ri­mati e cesurati: «Tucti li beni che con cor non fay, / may son accepti né merito <’n>d’ày»[56]; mi sem­bra­no citazione i versi: «Chi la dolczeza de Jhesú vol gustare, / primo amareza li conven as­saggiare»[57], ed è proverbio anche: «Amico mio cortise, / como ày la intrata ti fa le spise»[58].

È evidente che quest’aspetto retorico, con il ricorso a proverbi e modi di dire, trova una doppia giustificazione, una da parte del beato, l’altra degli ascol­ta­tori: la facilità delle rime e la cantilena di certi ritmi si imprimono con maggiore facilità, favorendo, con gli exempla, il ricordo degli argomenti trattati per produrre il frutto desi­derato. Si aggiunga: ripetere testi iaco­po­nici e laudistici, ge­ne­ralmente molto diffusi, era quasi un invito al canto, alla par­te­ci­pa­zione diretta dell’uditorio.

 

 

Problemi di edizione del Quadragesimale e descrizione

 

Sul Quaresimale, trattandosi di codice unico e di copia, bisogna la­vo­ra­re ope ingenii nei casi in cui la lingua sia corrotta per causa del copista e quando non si riesca a cavare almeno un signi­fi­ca­to. Sorte vuole che nel Quaresimale si ri­trovino, non per­fet­tamente trattati nello stesso modo, argomenti dei Sermones varii[59]; ciò dà la certezza di alcuni errori, a volte spie­gandone la possibile genesi.

Per prima cosa leggiamo la Tabula iniziale, con il rimando alle carte (che tra­scri­vo nella co­lon­na centrale, dove si noti che al n. 25 si cam­biano le cifre, dal­le arabe si pas­sa alle romane), cosí che ci si possa rendere conto degli argomenti, con­fron­­tan­dola an­che con i titoli apposti al te­sto, nella colonna di destra (dove metto in corsivo le ag­giun­te); il nu­mero nella colonna iniziale è segnato per comodità e chia­rez­za di e­sposi­zio­ne; indi­ret­tamente, si ha la de­scri­zione del codice:

 

Hec est tabulla huius libri:

1.       De ieiunio

1

1r. [Senza titolo]

2.       De ligno paradixi

6

6r. Feria 5. Sermo. De ligno para­di­xi

3.       De temptatione

12

11v. Sabbato sequitur sermo de tempta­cione

4.       De fructibus ieiunii et de gloria paradixi

17

16v. Dominica prima 4e [sc. qua­dra­ge­simae]. Ser­mo de gloria pa­ra­di­xi et de ieiunio

5.       De finally iuditio

27

26v. Feria 4a prime ebdomade 4e. Sermo

6.       De Cananea: quomodo con­versa est ad pe­ni­tentiam

32

31v. 2 Feria 4a prime ebdomade. Sermo de Ca­na­nea

7.       De cruce

36

36r. Feria 6a prius primam do­mi­ni­cam. Sermo de cruce

8.       De Domina

41

40v. Sabbato post primam do­mi­ni­cam. Sermo de Domina nos­tra.

9.       De Transfiguratione

42

42r. Dominica 2a in Quadragesima. Sermo bonus

10.   De humilitate

40 (sic)

50r. Feria 3a 2e ebdomade. Sermo de hu­mi­li­tate

11.   De peccato

46

45v. Feria 2a prius 2am dominicam Sermo de peccato

12.   De predestinatione

53

43r. Sermo [ms. sera] de predesti­na­tione. Feria 4a 2e ebdomade

13.   De inferno

57

56v. Feria 5a 2e ebdomade. De inferno

14.   De anima

61

61r. Feria 6a 2e ebdomade. Sermo de anima

15.   De virgine Maria

67

66v. Sabbato 2e ebdomade. Sermo de virgine Maria

16.   De malis que facit pec­ca­tum in a­ni­ma

70

69v. Dominica 3a in 4a. Sermo de macula peccati

17.   De contemptu mundi

72

72r. Feria 2a 3e dominice. Sermo et de contempu mundi

18.   De corectione fraterna

79

79r. Feria 3a 3e dominice. Sermo de co­rectione fraterna

19.   De veneratione paterna

84

84v. Feria 4a 3e dominice. Sermo de vene­ra­cione paterna

20.   De peccato

90

90r. Feria quinta tercie ebdomade. Sermo de peccato

21.   De passione Domini

93

93r. Feria 6a 3e dominice. Sermo de passione Domini

22.   De Domina nostra

97

97r. Sabbato 3e dominice. Sermo. De Domina

23.   De v panibus et vij petitionibus que fiunt in oratione dominica

103

103r. Dominica 4a in Quadragesima. Sermo

24.   De usura

107

107r. Feria 2a 4e ebdomade. Sermo de usura

25.   De amore versus Dominum

cxij

cxijr. Feria 3a 4e ebdomade. Sermo de amore versus Domini[60]

26.   De confessione

cxix

cxviijv. Feria 4a 4e ebdomade. Sermo de confessione

27.   De misericordia Dei versus pec­ca­tores

cxxxiij

cxxxiijr. Feria 5a 4e ebdomade. Sermo de misericordia Dei

28.   De confessione alter ser­mo

cxlj

cxljr. Feria 6a 4e ebdomade. Sermo de confessione 2us

29.   [Manca]

 

cxlijr. Sabbato 4e dominice. Sermo de Do­mi­na. Ego sum lux mundi. Iohannis 8 capitulo. Re­quire in alio libro

30.   De confessione 3us sermo

cxlvj

cxlvijr. Dominica 5 4e. Sermo de con­fes­sio­ne

31.   De avaritia

clvj

clvv. Feria 3a 5e dominice. Sermo de avaritia [Titolo ripetuto due volte, nella stessa carta]

32.   De contrictione

clj (sic)

clv. Feria 2a 5e dominice. Sermo de con­tri­cione

33.   De fide

clxiij

clxiijv. Feria 4a 5e dominice. Sermo de fide

34.   De Maria Magdalena

clxvj

clxvjr. Feria 5a 5e dominice. Sermo de Magdalena

35.   De sanguine Christi

clxxiiij

clxxjv. Feria 6a 5e dominice. Sermo scilicet de sanguine Christi Ihesu

36.   De nomine Yhesu

clxxij (sic)

clxxxjr. Dominica in palmis. Sermo de nomine Yhesu

37.   De restitutione

clxxxxij

cxcijr. Feria 2a ebdomade sancte. Sermo de restitutione

38.   De corpore Christi

cxcviij

cxcvijv. Feria 3a ebdomade sancte. Sermo de corpore Christi

39.   De Domina nostra

cciij

ccijv. Feria 4a ebdomade sancte. Sermo etc. De Domina

40.   De oratione

ccix

ccixr. Sermo de oracione

41.   De matrimonio

ccxij

ccxxiijr. Sermo de matrimonio

42.   De resurrectione sermo

ccxviij

ccxviijr. In resurrectione Domini sermo

43.   De resurrectione 2a feria

ccxxv

ccxxiiijv. Feria 2a Pasce. Sermo

44.   De anima ............ 3a feria

ccxxviij

ccxxviijr. Feria 3a Pasce.

Explicit tabula huius libri. Amen.

Per continuare la descrizione, bisogna aggiungere che N, almeno guardando le fo­to, è com­posto di cc. ccxli, oltre a quella che funge da coperta, e, come detto, sul verso del­­la prima non nu­me­rata c’è la Tabula e sul recto dell’ultima si nota la piegatura di un altro fo­glio, aggiunto per protezione, mentre si intravede, spe­cu­la­re, un testo in grafia gotica: si tratta di un fo­glio riutilizzato. L’explicit è scritto a c. ccxxxiir, perciò tutti i sermoni si devono alla mano di Ul­ri­co, che sottoscrive, la­­­scian­do uno spazio bianco per circa metà della stessa carta; sul ver­so, continuando fi­no alla fine del ms., una mano, forse quella che ha scritto il titolo (ma non la Tavola), ha co­­piato dei brani, con una gotica minu­sco­la rotondeggiante; anzi nel suo lavoro si ve­do­no alcuni in­­­cipit, taluni solo capoversi, nei quali la lettera iniziale non è scritta, ma c’è il qua­­dra­tino vuoto che un rubricatore avrebbe dovuto riempire. Il primo di­scorso, sull’in­­car­­na­zio­ne, è senza titolo; tre quar­ti di c. ccxxxivr e tutto il verso non sono scritti; segue poi un De corpore Christi e vari fram­menti. Il copista pare francescano, poiché sul bordo su­pe­riore delle cc. ccxxxiiir-v e ccxlr si trovano abbreviati Yhesus, Ma­ria, Fran­cis­cus. A cento anni circa da quando fu co­pia­to, il codice apparteneva sicu­ra­men­te a un fran­ce­scano, a colui che pro­prio in fon­do al­l’ul­tima car­ta scrisse, con grafia diversa da tutte le altre, la no­ta di pos­ses­so:

Iste liber est fratris Marinangelus de Nocera

Frater Protasius de <Eu>gubinatis[61] dedit, in 1537 [?], 3 die Iulius.

 

 

Questioni di autenticità

 

La prima questione che si impone è quella dell’autenticità dei sermoni singoli e di tutta l’opera, poiché la paternità di Matteo è at­tri­bu­zio­ne di mano di­ver­sa da quella del copista principale. Comparando un locus dei Ser­mo­nes va­rii con il Quadra­ge­simale, salta agli occhi evidente il problema dell’autore. Nei Ser­mo­nes varii, in quello De ieiunio, ad un certo punto si legge:

 

 Exempla quatuor iuvenum murmurancium atque dicencium: O frater Ma­thee, dic quidquid libet et quantum vis clama, nolumus ieiunare…[62]

 

Il beato sviluppa tutto l’esempio e passa in rassegna i suoi quattro giovani, dando loro nomi biblici, chia­man­do il primo Pietro, il se­con­do Paolo, il terzo Giovanni, l’ul­ti­mo An­drea, vivacizzando le loro obiezioni e risol­vendone le quaestiones. In N al ser­mo­ne De ieiunio, che apre il Qua­resimale (ma il titolo è preso dalla Tabula), al f. 3r-v, si ha quasi identica dram­­ma­tizzazione, pur se mancano i nomi degli obiettori, due dei quali si rivolgono al predicatore dicendo[63]:

 

“Quo­mo­do, frater A., possum ieiunare? Non sum u­sus, no­ce­ret mihi, oportet me conmedere ante ter­ciam”. […] Item interrogo te alium, qui dicis: “Frater A., noli loqui mecum de ieiunio ullo­modo, quia non possum ieiunare, sum mer­cator”.

 

 

Proprio il nome del predicatore è diverso, poiché nei Sermones va­rii si legge «O fra­ter Mathee»[64], mentre in N per due volte e senza e­quivoco nella let­tura, dato che nella stes­sa c. 3r si ha il verbo Amo e A·ccasa, con maiuscola e raddop­pia­men­to fonosin­tat­tico, «frater A.»: la grafia è certa. Poi­ché il resto della trattazione dei due sermoni è abbastanza simile, ipotiz­zo due solu­zio­ni: o il predicatore di N, cioè frater A., ha avuto una fonte co­mu­ne con Matteo, e pertanto questi non ne è l’autore, in piena contrad­di­zione con quel­lo che è il titolo del Qua­­resimale, ma, ricordo, non del primo copista; oppure que­sti ha con­fu­so una M con una A. Poiché le varie integrazioni a cui è costretto l’e­di­tore sono spes­so causate da frate Ulrico, a lui si può anche attribuire la confusione tra le let­te­re; e, poiché la cor­ri­spondenza del contenuto pesa a favore di Matteo, ritengo che il pro­ble­ma del no­me qui sia di se­condaria importanza. Inoltre, chi ha aggiunto titolo e nome, a­vrà avuto un a­po­grafo o una tradizione orale, che, stando al contenuto del resto del co­di­ce e non solo del primo sermone, non pare facile smentire. Si deve però mettere in risalto un par­ti­co­­lare: la mano che ha scritto il titolo, cioè Qua­dra­ges­si­male fra­tris Ma­thei de Cici­lia, or­­di­­nis mi­norum, l’avrà sicuramente fatto dopo il 19 giugno del 1448, data in cui Ul­rico finisce la copia; Matteo era stato nominato vescovo di Agrigento nel ’42 e con­sa­­cra­to nel ’43, come ricorda il p. Amore[65]: perché questa di­gnità, che darebbe maggiore lustro ai sermoni stessi, non è ricordata? No­no­stan­te que­sto, considerando che il Qua­dra­ge­si­male, per la sua struttura compatta, è un uni­­cum e non un ‘in­sieme di ser­mo­ni’ o un’an­to­logia, come invece è il codice di Cape­stra­no, si può presumere che tutti i ser­­­mo­ni pro­ven­­­gano dallo stesso autore; e, se il circolo non è vizio­so, si deve pensare al­l’au­­ten­ticità come alla soluzione piú eco­no­mi­ca, che diventa la sua forza filologica, fino a prova contraria[66]. Forzato mi par­­rebbe volere intendere frater A. come frater A­gri­­gen­ti­nus, ché forse sarebbe del tutto eccezionale chiamare un fra­te non con il no­me del paese di origine[67]. Non passi inos­servata un’altra ‘ano­ma­lia’ dei Sermones varii, esat­ta­mente di quello De ser­­vitio Dei seu de vita chris­tia­na, con­ser­vato però da un altro co­di­ce e non da quel­lo di Capestrano; in esso, se­condo il p. A­more, ci sono «alcune pagine la cui ras­so­mi­glianza con il codice ca­pe­stra­ne­se, sia per la scrit­­tura come per il con­te­nu­to, è tal­men­te evi­den­te da non la­sciare dub­bio alcuno che an­­che quei fogli siano opera del b. Matteo d’A­­­grigento»[68]; ed ivi si legge: «O frater An­to­ni, quid nobis dabit si sibi per­fecte serviemus?»[69]. L’editore non si è soffermato sul pro­­ble­ma; e, dato che ab­biamo quello di frater A., bisogna almeno affrontarlo. Lo stile è dram­matico, adatto per fingere di ri­­volgersi al predicatore da parte di chi a­scol­ta, come nel sermone sul digiuno e come in tante prediche di san Ber­nardino e di altri. Come mai frater An­toni? La soluzione non viene da­ta dal mano­scrit­to, poiché il predicatore si ser­ve delle pa­­­role di Paolo: «Respondit A­pos­­to­lus: Quod ocu­lus…». Lo scrittore, dun­que, non ri­spon­­­de, e a me pare che la doman­da, piú che avere una risposta, si molti­pli­chi: Frater An­­­toni è un nome ‘proprio’? un nome a caso? un nome ‘e­sem­plare’? Certo che la A., se si riuscisse a dare una risposta alle possibili ipotesi, avrebbe valore e peso di­ver­si per di­rimere la que­stio­ne. Col tempo, sono mutati i ‘nomi esemplari’ co­mu­ne­mente a­do­­­pe­rati: a Martino e Berta usati da Dante oggi nessuno pen­se­rebbe, preferen­done altri, quali nel passato re­cen­te Tizio, Caio e Sempronio; anche Pietro è servito per in­di­care ‘un individio qua­lun­que’[70]: il beato Matteo, oltre ai nomi apostolici sopra detti, u­sava una A.? O forse il sermone De servitio Dei, se la grafia è del beato, riporta il testo di un altro?

È indubbio invece che l’autore di N è francescano («Franciscus, pater noster», scrive nel IV sermone; e nei primi tre il santo è nominato ben sei volte), e compagno di Ber­nar­dino, come dimostra il sermone XXXVI del Quadragesimale sul nome di Gesú, in cui, per lodarne l’ec­cellenza, si legge che, mentre a Padova fra Bernardino predicava, una donna si alza af­fermando di essere stata liberata da molti demoni nel nome di Gesú; e poi: «predicante me in Urceis Novis, in territorio Brichensi (?), quedam incantatrix vetula habebat secum de­mo­nes…»; ma anche qui il nome di Gesú è efficace: il ricordo di Bernardino e il nome di Gesú sono una strada dritta verso Matteo.

Se ci chiediamo per chi e quando fu scritto il Quadragesimale, al momento non rie­sco a trovare alcun appiglio per sta­bi­li­re il quando; per conseguenza, resta non ri­sol­ta l’al­tra domanda; e non sapppiamo neppure il luogo di predi­ca­zio­ne, e, al limite estre­mo, se mai sia stato effet­ti­va­men­te predicato (non nella forma come è giunto a noi, ma al­­meno come traccia di ser­mo­ni)[71]. Dall’analisi interna del testo, in al­cuni mo­men­ti sem­bra che si rivolga a religiosi, in altri ad un pubblico composito: neppure dun­que gli a­scol­­tatori si possono in­dividuare, se non accettando l’ipotesi: ‘traccia, con esteso svilup­po, di sermoni, che si devono a­dattare a luo­ghi e persone’. Tutti questi inter­ro­gativi ed altri che nel corso del lavoro certamente sorge­ran­no[72], spero che, al­me­no in parte, pos­­sano trovare ri­spo­sta nell’edizione, grazie alle compe­ten­ze del­l’a­mi­co Pie­tro Sorci, che si oc­cu­pe­rà in modo particolare degli aspetti storici e delle fonti.

 

 

Errori d’autore?

 

Analizzando, per motivi comprensibili di spazio, almeno una predica - ma dovrei meglio dire ‘gli ap­punti’ -, come campione minimo e spero signi­fi­ca­tivo, si ve­dran­no er­rori di ogni ti­po, che, proprio per l’usus scribendi dei Ser­mones varii, non si pos­so­no ad­de­bi­tare al­l’au­­­­to­re e pertanto devono attribuirsi al co­pi­sta, che trascrisse il co­­dice quan­do Mat­teo era ancora in vita. Mi sembra su­per­fluo ricordare che que­­sto studio è so­prat­tutto son­dag­gio dei pro­ble­mi filologici e non si inoltra in analisi letterarie o teo­lo­gi­che; sui contenuti mi soffermerò solo se ne­ces­sario, per avere maggiore con­ferma di quel­­la au­ten­­ti­cità apparentemente negata dalla scrizione frater A.

Per dimostrare che gli errori sono del copista, analizzo una citazione dal sermone della Dominica prima, in cui si tratta del di­giu­no, strumento contro le tentazioni car­nali. L’esempio è tratto dalla famosa epistola di Girolamo ad Eu­sto­chio, di cui ri­por­to a si­nistra il testo del Qua­dra­ge­simale e quello del CSEL a destra:

 

Sic faciebat Ieronimus, sicut testatur in epistola ad Eustogium:

«Ille laudatur, ille predicatur beatus qui statim ut parcet cogitare inter sicut cogitatus, allidit[73] eos ad petram, petra autem erat Christus.

Quociens enim ipse in heremo constitutus et in illa vasta solitudine, que exusta solis ar­do­ri­bus, horridum monachis prestabat habi­ta­culum, putabam[74] in heremis interesse deliciis.

Sedebam solus, quia amaritudine repletus e­ram. Horrebam sacco menbra deformis squa­lita cute situm Ethiopis se carnis adduxerat. Cottidie lacrimas[75], cottidie gemitus et si quan­do repungnacionem sompnus inminens op­pres­sisset, nudus humo vix ossa habentia collidebam.

 

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… ille laudatur, ille praedicatur beatus qui, statim ut coeperit cogitare, interficit co­gi­tatus, et elidit eos ad petram; petra autem est Chris­tus.

O quotiens in heremo constitutus et in illa uasta solitudine, quae exusta solis ar­do­ri­bus horridum monachis praestat ha­bi­ta­cu­lum, putaui me Romanis interesse deliciis!

sedebam solus, quia amaritudine repletus eram. horrebam sacco membra deformis, squa­li­da cutis situm Aethiopicae carnis ad­­duxerat. cotidie lacrimae, cotidie ge­mi­tus et, si quando repugnantem somnus in­minens op­pres­­sisset, nuda humo vix os­sa haerentia con­lidebam. (Ep. XX. 6-7)

 

Del brano, in piú punti incomprensibile, la fonte chiarisce, dicendo nel con­tem­po che una persona sensata, che capisce quel che scrive, non può arrivare a de­for­­ma­zioni cosí pesanti, come parcet, in heremis, etc; la fonte, dunque, ha doppia fun­zio­ne: fa vedere tutte le varianti, compresi gli errori, perché tradiscono il significato; aiuta nel­la ricostru­zione del testo. E, poiché al predicatore stava a cuore lo spirito e non la let­te­ra, il signi­fi­cato deve reggere; la ci­tazione, che nel testo continua, in un certo senso fa pen­sare che anche alla lettera Mat­teo non fosse in­dif­fe­ren­te; perciò diverrebbe piú necessario l’e­men­damento. Non escludo, infine, che ci siano anche errori d’autore, come già si è visto nei Ser­mones va­rii; ma bisognerà dimostrare che siano effettivamente tali, e non del­l’in­ter­me­diario si­cu­ro, frater Ulricus, né sappiamo se N derivi dall’autografo; per i Ser­mo­nes varii, in­ve­ce, abbiamo la certezza di errori autografi.

 

 

Il predicare ed il Sermo Primo

 

Riporto dunque il primo sermone, mettendo in risalto solo al­cu­ni punti e rele­gan­do in nota vari problemi. Classico il metodo, che prende spunto da una frasetta bi­bli­ca, talora spiegata, ma sempre analizzata e distinta in varie parti; queste poi saranno guida per continue distinzioni e sottodistinzioni, in una specie di di­­ra­ma­zio­ni multiple. Poiché quasi sem­pre le distinzioni sono in volgare, trova con­fer­ma che questo fos­se la lingua ‘del pensiero’ (punto di partenza e luogo delle ri­fles­sioni), e forse anche ‘del­la predicazione’; la lingua del­lo scrit­­tore è, in­ve­ce, la lin­gua me­scidata[76]. So­no da evi­den­ziare, oltre ai rac­contini ac­­cen­na­ti o svi­lup­pati, anche gli in­vi­ti all’azione, qua­si alla tea­tralità del ge­sto pre­­di­can­te; cito in par­ti­co­lare quello del De dis­ciplina, in cui si rivolge all’uditorio, a pro­­po­sito delle fa­ti­che che bisogna fare per ot­tenere qual­co­sa: «Interroga doctores, predi­ca­­to­res: antequam essent taliter docti, quan­tum prius fuerunt angustiati. (Hic narra passio­nes, vigilias et suspensionem capillorum et alias penas[77]: l’accenno al tirarsi i capelli è fortemente plastico; nel De confessione: «Hic exclama contra magas similiter fa­cientes et dic: O pueri, post ipsas sonate et post­ea cla­mate: ‘Alla vecchia ren­ca­gnata!’ plu­ries»[78]: in­vito piú esplicito alla gazzarra con­tro le fattucchiere non si po­treb­be dare; ma la sor­presa viene da vecchia ren­ca­gnata e si­mili, espressione di Ber­nar­dino da Siena[79]. E con il santo il nostro ha in comune anche «la messa in scena», come intitola L. Bolzoni un paragrafo sulla pre­di­ca­zione di Ber­nardino[80].

Nel Quadragesimale si trova qualche elemento simile: nel sermone XXXI: «Aliud ex­em­plum de illo sacerdote, qui veniens ad mortem dicebat: ‘Dove è la chiave della cassa?Fac actum cum manu, quasi velis accipere» (c. clviiijv), cioè ‘fingi di volere a­prir­e, col ge­sto di girare la chiave, per prendere’. Talora si ha una accumulazione di e­sempi, alcuni svi­luppati, altri accennati. Si veda il Sermo III, dove, per di­mo­strare la necessità del­l­a tentazione come esperienza che fa superare il male, riporta il caso del

 

bonus armiger [qui] expertus fit in magnis periculis; unde solet dici quod tunc cong­nos­­ci­tur, cum, semel percussus sit in bello, signum portat percussionis et sic doc­tus pe­ri­cu­lo­sa aggreditur. Exemplum de nautis in procellis magnis: ideo quia sunt ex­per­ti liberantur a fluc­­tibus. Nullus capitaneus potest esse bonus si non ha­bet corpus et caput incisum in bel­­lo. Et sic patet quod temptacio seu tribulacio il­lu­­minat. Ex­em­plum de lo regaczo, qui e­­­qui­tat, cadit et frangit brachium; cla­mat: “O, o, o!”. Cho­mo fecisti?”. “O, dimisi bri­liam”. “Non fare piú, teni sem­pre la re­­­tina”; et sic il­luminatur ad illud. Alias: cadit et fran­­­gitur caput: “O, o, o!”. “Co­­­mo fecisti?”. “O, e’ coreva e andava saltando e non stri<n­­si> nelle cos­se[81]. Et sic illuminantur. Exem­plum ferri: quanto magis limatur, tan­to ma­gis sblen­­det (cc. 12v-13r)[82].

 

La catena si potrebbe allungare, in questa complessa me­sci­dan­za linguistica e di situa­zioni vi­ve, possibili, spesso anche vere, tratte dalla storia sacra, dalle vite dei santi, da e­sempi ‘scien­tifici’: «Exemplum Da­vid: dic historiam. Exemplum e­ciam bea­ti Fran­cisci. Ex­em­plum eciam aliorum sanc­to­rum. Discurre quia aqua non mota pu­tres­cit» (c. 14r). An­zi, per­sino una sferzante ironia, e quasi scandalosa per la nostra moderna (e anche ipocrita) sen­sibilità, sé­guita per chi si finge perfetto:

 

A­liqui di­cunt se vidisse virginem Mariam. Quomodo virginem Mariam? Quod si unum aliud vitrum vini assumpsissent[83], vidissent omnes sanctos et Deum! Dic quod oportet esse bacculus trium palmarum et dari, quod ille videret melius. Paczo! Sine morato! (c. 13r).

 

Nel Sermo I, assunta l’espressione evangelica Cum ieiunatis di Mat­teo, si dice che bisogna fare triplice distinzione, ma, prima di definirla, una nota accenna ad una inter­pretazione spirituale, poiché il digiuno «est subtraccio cibi et potus pec­ca­to­rum». Si passa ai tre punti: «Primo: la sua diffinicione; 2°: la soa obligacione; 3°: la sua fruc­ti­fi­ca­cione». Segue una definizione non astratta, ma tri­partita: «primo: uno spiri­tuale, del peccato mortale; secundo: uno afflictivo, del gau­dio temporale; tercio: uno cor­porale, del cibo materiale». Accennati i primi due, il terzo, quello corporale, subisce un’al­tra tri­plice divisione, potendo essere «naturale, virtuale [‘virtuoso’], ec­cle­­sia­stico»: il secondo si identifica con la temperanza e se ne discutono i meriti; mag­giore spazio necessita per il terzo tipo, perché bisogna anche ricordare i tempi di digiuno. Come in un incastro, abbiamo seguíto tre, altre tre, ed altre tre suddivisioni.

Poi viene il secondo tema principale: chi è obbligato al digiuno? Triplice distinzione an­che qui, poiché bisogna tenere presenti gli obbligati, gli esen­tati, i modi del digiuno. È questo il cuore vivacissimo della predica, in cui Matteo ‘recita’ al modo di san Ber­nar­dino e degli altri. La predica scende a toccare le varie categorie pre­senti; e la sen­sibilità del predica­to­re si manifesta nella lun­ghis­sima lista di tredici gruppi esenti dal di­giuno[84], per vari e va­lidi motivi, alcuni dei quali magari ci fanno sorridere: si pensi al medico che pre­as­sag­gia la medicina dell’infermo o al servo assag­gia­tore alle mense dei nobili per paura di av­­ve­­le­na­mento o al lettore nei conventi che potrebbe venir meno! Infine, si pas­sa a sette con­­di­zioni per digiunare in modo gradito a Dio. La suddivisione è rimasta tri­pli­ce; ma do­po avere obbligato tutti dai 20-21 anni, ecco tredici rami­fi­ca­zioni per le ec­ce­zioni e un sette­nario per digiunare bene.

Il terzo punto principale, «la soa fruc­ti­fi­ca­cio­ne», viene rimandato, essendosi il beato forse reso conto che il sermone correva il rischio, per lungaggine, di diventare in­frut­tuoso; ne parlerà infatti nella domenica successiva: De fructibus ieiunii et de gloria paradixi.

Per dare maggiore forza al suo dire, il predicatore ricorre alle consuete auc­­­to­ritates; si vedano nel sermone primo: Matteo, Tobia, l’Ec­­­­clesiastico, il Cantico, i Salmi 43 e 50, Isaia, Gioele, Paolo ai Romani e ai Corinti, Pie­tro, Giacomo; Crisostomo, Girolamo, Agostino, I­sidoro, Ric­car­do de Mediaville, l’A­qui­­nate, Guglielmo[85], Nicolò di Lira, la Glossa, il De­cre­tum.

Quasi inesistenti gli exempla, se si eccettuano quelli del magister Deoegenes e di To­bia, mentre è dato maggiore spazio agli pseudo-interventi dialogati con il pubblico.

 

Testo[86]

<I. De ieiunio>

 

Cum ieiunatis. Mathei 6 capitulo.

De isto[87] sacro ieiunio tria debemus contemplare. Nota quod[88] est subtraccio cibi et potus peccatorum.

Primo: la sua diffinicione;

2°: la soa[89] obligacione;

3°: la sua fructificacione.

 

Circa primum, nota 3a ieiunia ante diffinicionem:

primo: uno spirituale, del peccato mortale;

secundo: uno afflictivo, del gaudio temporale;

tercio: uno corporale, del cibo materiale.

Primum, quod est spirituale, est illud quod est meritorium et quod est maximum ie­iunium: De consecratione, distinctio 5[90], capitulo: Ieiunium. Quod patet quia omnia[91] alia ie­­iunia fiunt[92] per istud tamquam propter finem, unde alia omnia sine isto ieiunio ni­chi­lo­mi­nus[93] valent, quia non valent abstinere a cibo et offendere Deum, quia sacrificium Deo est spiritus contribulatus [Ps 50, 19], unde Ysaie 58: Quare ieiunavimus et non aspexisti; hu­mi­lia­­vimus animas nostras et nescisti? Et respondet Deus: Ecce ad lites et contenciones ie­­iunetis et percutitis pugno inpie. Nolite ieiunare usque ad hanc diem ut audiatur in ex­celso clamor vester. Numquid tale est ie­iu­nium quod elegi: per diem affligere hominem ani­mam suam? Numquid <… Numquid>[94] istud vocabis ieunium et diem acceptabilem Domino? Num­quid hoc est maius ieiunium quod elegi? Dissolve colligacionis impietatis, solve fas­ci­culos deprimentes, dimitte eos qui confracti sunt liberos, et omne onus disrumpe; frange esurienti panem tuum, egenos vagosque induc in do­mum tuam. Cum vi­de­ris nudum, operi eum; et carnem tuam ne despexeris. Tunc <… Tunc> in­vocabis et Dominus ex­au­diet; clamabis et dicet: Ecce adsum. Unde istud est verum ie­iu­nium: pec­ca­ve­runt o­cu­li? fac e<o>s[95] ieiunare; et ita de omnibus /f. 1v./ aliis menbris.

Secundo: uno afflictivo <del> gaudio temporale, scilicet quando quis se abstinet a gaudio tem­porali. O! o!, quantum est bonum et dispositum ad primum! O iuvenes, abs­ti­nete vos a car­na­li­bus desideriis que militant adversus animam: Prima Petri, 2° ca­pi­tulo, sicut cantare et ballare etc.

Tertium est uno[96] corporale del cibo materiale, quod diffinit Ysydorus in com­muni. Quid est abstinencia? Parcimonia virtus abstinencia ciborum. Quod potest es<se>[97] tri­plex: na­tu­rale, virtuale[98], ecclesiastico.

Primum est in quolibet, cum est ie­iunus in mane; quod, ut sic, non est virtus, secundum Richardum in quarto, Distinctio 15, quia hoc eciam reperitur in lupo in nemore et ali<is> ani­ma­li<bus>[99]; quod est falsum[100].

2m est virtus, quia est actus abstinencie, que est pars temperancie. Unde dicit Richardus, ubi supra, quod est cum quis summit[101] sibi cibum et potum ratione regulata, et illud est meritorium si propter Deum fit; unde, si quis argueretur quod non est virtus, quia omnis virtus est in o­pe­ran­do, sed cum ieiunium[102] dicat cessacionem ab actu commestionis, ergo non est virtus; item quia om­nis virtus est qualitas mentis, istud est corporis actus, ergo etc. Dicitur ad primum: illud ie­iu­nium nominat actum operacionis, secundum quam quis se regulat secundum consonum dicta­minis racionis. Ad 2m dicitur quia in tali abstinencia dupplex est actus: unus interior, qui est velle fre­nare gustum a de­lecta­cionibus qui sunt in cibo et potu; alius exterior, qui est ipsa fre­nacione cor­porali[103]. Primus est virtute et licitus, 2us est ab ea imperatus, secundum Ri­char­dum, ut supra. No­ta quod hoc ieiunium institutum est in memoriam passionis Christi. 2o, ut dig­nius pre­paremus ad recipiendum corpus Christi, secundum /f. 2r./ Ri­chardum.

3m est certissimum et hoc est preceptum ab Ecclesia in diversis temporibus, exemplum nam[104] sicut est in Quadragesima: est generale: Distinctio 96, ca­pi­tulo: Quadragesima, et capitulo se­quenti. Item quatuor temporum, ut Distinctio 78 et ca­pitulo sequenti et capitulo: «Statuimus ut qua­tuor temporibus hoc ordine celebrentur: pri­mum, inicium 4e; 2m in ebdomada Pen­te­cos­tes; 3m in semptembre; 4m in decembre, more solito fiat». Et hec ieiunia, secundum Ri­char­dum, ins­tituta sunt ad espiandum peccata que committimus per annum. Item 3es dies rogacionum an­te As­cen­sio­nem: De consecracione, distinctio tercia, capitulo: Roga­ciones. Sed ut dicit Glosa ibi, hoc non pre­­cipitur sed suadetur. Item omnes vigilie apostolorum, exceptis Phylippi et Ia­co­bi, Iohannis ewangeliste et Barnabe, eo quod prima venit infra Pascam et Pascam[105], 2a infra Na­ta­­lem Do­mi­ni, ut dicitur Extra, De observancia ieiuniorum, capitulo Consilium; et, secundum i­dem Con­si­li­um capito­lum, vigilie Nativitatis Domini, Pentechostes, Ascensionis, vigilia Io­han­nis Baptiste et san­cti Laurencii et omnium sanctorum. Et si in aliqua civitate vel diocesi est ali­quod ieiunium con­suetum, licet non sit preceptum per vi<m>[106], tamen nichilominus ob­servandum est ab illis qui stant ibi, ut dicit Decretum, distinctio i: Consuetudo, et distinctio 2: Ec­clesiarum. Unde istud ec­clesiasticum ieiunium sic diffinitur: ieiunium est subtraccio cibi et po­tus, racione regulata se­cun­dum statutum Ecclesie, ordinata ad satis­fac­cionem pec­ca­torum. Sed notandum[107], secundum Ric­chardum, quod istud ieiunium cadit sub precepto ec­cle­sias­ti­co et positivo, seu scripto, solum quan­tum ad tempor<a>[108] et modum; racione autem prohi­bi­cionis peccati et vicii sub lege na­tu­re, primo licet hoc 3r precipiat Ecclesia. Idem dicit Tho­mas, 2o 2e 147, unde licet quod unus­quis­que /f. 2v./ satisfaciat pro pec­catis preteritis. Porro de­bet ieiunare propter evitare futura, quia in­ter­dum potest[109] satis­fa­cere de preteritis, sed et propter evitare futura ordinatum est.

Queritur si tunc ieiunare debemus diebus dominicis. Respondeo secundum Tho­mam 2a 2e q. ix: id est non, quia est dies leticie; et, contra facientes, non essent a pec­catis immunes, secundum eum, nec esset christianus.

 

Circa[110] secundum principale, scilicet la sua obligacione, tria sunt consideranda: im, qui sunt obligati; 2m, qui sunt excempti; 3m, quomodo debent esse con­dicionata.

Ubi notandum quod ad supradicta ieiunia ligantur omnes fideles, mares et mu­­lieres, tam re­li­gio­si quam seculares, cum perventi fuerunt ad etatem ultimam 21 an­no­rum supra; sed infra e­ta­tem ist<a>m[111] excitandi sunt ad ieiunandum, sed interdum plus vel minus secundum for­titu­di­nem vel debilitatem conplexionum; sed maxime illi qui tran­sierut vigesimum annum obligantur sub pena peccati mortalis et dampnacionis ad ie­iunium. Et vos, patres et matres[112], debetis con­pel­lere filios vestros ad hoc, et Deus dabit eis gratiam, sicut sunt Neapolim[113].

Sed heu, inimici Dei non curant ieiunare, sicut obs­ti­na­ti et gulosi omnes excusant se, sed an­te il­lum qui novit abscondita cordis [Ps 43, 22] non va­le­bunt aliqua <et> aliqua illicita ex­cu­sa­cio, quia multi se excusant qui non habent veram ex­cu­sa­cionem. Sed responde mihi, tu qui te ex­cusas; in­terrogo te ex parte Dei: “O peccatore, po­tes tu ieiunare?” et respondens: “Non”, cum enim ha­be­res calculum in oculo et me­di­cus diceret tibi: “Si vis sanari, ieiuna xla dies[114], in con­me­dendo se­mel in die /f. 3r./ et non bi­bes vinum”, faceres? respondens: “Ymo”. Ergo, o bestia, quo­modo poteris excusari an­te Deum, quando propter carnem putridam abstineres et non propter animam, cum ani­ma sit corpore preciosior in infinitum, si dici posset! Item, interrogo te aliu<m>[115]: “Vis ie­iu­nare?” Respondes: “Quomodo, frater A., possum ieiunare? ([116]) Non sum u­­sus, no­ce­ret mihi, oportet me conmedere ante ter­ciam”. Cu<i> e<g>o[117]: “Bene. Amasne ali­quam pul­cram mu­lie­rem?”; res­pon­dens: “A­mo”; bene, si quis diceret tibi: “Vis stare ista nocte dis­calciatus in sereno et non bibes vinum neque conmedes nisi panem et aquam et faciam te ha­be­re eam?” fa­ceres? qui respondens: “Ymo, non solum ista, sed eciam maiora istis pati volo”. Ex­clama: O mundo ciecho, o mundo paczo! Meiore fare penitentia è per andare in paradiso che per andare a·ccasa de dya­volo? non volere ieiunare per una miser<a> delectacione carnale, per la quale ne perde l’anima e ’l corpo? vole<r>e[118] ieiunare e per aquistare quello in­con­mu­­tabili e infinito bene, per lu quale l’anima e lo corpo sempre essere felice[119]. Non, non pos­se ieiunare! Quid respondebis Deo tibi ista proponenti, o peccatore?[120] Item interrogo te alium, qui dicis: “Frater A., noli loqui me­cum de ieiunio ullo­modo, quia non possum ieiunare, sum mer­ca­tor”. Cui ego: “Quantam pecuniam vis lu­crari?”; respondens: “Centum ducatos”; cui ego: “Vis stare per quadraginta dies in navi in mari et patiaris multas angustias et pericula, non bibes nisi aquam putridam et com­medes panem vermibus plenum, et promitto quod mille lucrabis ducatos?”; respondens: “Om­nia mala volo sustinere ut possim bene lucrari”. Ergo, o miser, o fa­tue, propter pos­se bene /f. 3v./ lucrari pecunias vis ieiunare; et propter lucrari regnum celorum et vitam eternam? Alii dicunt quod habent malum capud; alii dicunt quod habent malum sto­ma­chum et ita omnes se excusant. Sed ante illum qui omnia novit? Et ita conclude quod ad huius­mo­di ieiunia omnes obligamur nos, quia possumus. Per la bocca intrò el peccato in Adam [cfr. Rom 5, 12] e noy, e per la bocca bisognia el remedio et exterminare.

Bene, frater, postquam nos obligamur ieiunare, secundum quod dicitis, doce[121] nos in diebus ieiuniorum hora conmedendi. Ab ecclesia est hora nona, quia sic ut est con­suetudo. Unde cum di­ci­tur De consecratione, distinctio prima, capitulo: Solent, quod nullatenus ieiunare credunt, qui man­ducant antequam vespere celebrentur officium et fra<ngitur ieiunium>. In ieiuniis quatuor tem­porum hora vespertina etc. Sub hora vespertina prandendum est tempore ab hora nona in­clu­si­ve ut ultra, nec oportet preterire[122] a capite hore none; si enim per modicum tempus ante ho­ram none conmedatur, non propter hoc frangitur ieiunium. Et licet illi qui conmedunt post sextam sta­­tim derogetur in alio perfecti ieiunii, non tamen sunt transgressores, illaque est necessitate in ie­iunio, maxime cum cunsuetud<ines>[123] in aliquibus partibus valint con­me­dere statim post se­cundam vel tertiam. Idem dicit Thomas 2a 2e q. 147.

Sed queritur a quibus cibis est abstinendum. Respondeo, secundum Richardum in 4 distinctio 15, ab omnibus lacticiniis. In aliis autem temporibus ieiuniis fac se­cun­dum mores patrie; sed in om­nibus generaliter usus carnis est interdictum. Thomas 2<a> 2<e> q. 147.

Quantum[124] ad 2m, qui sunt excepti, ubi nota quod tantum ex­cep­ti sunt 13cim genera per­so­na­rum. Hic dico confessoribus quod non absolvant illos qui non ieiunant nisi haberent legit­timam cau­sam. Primo, pueri per 3es raciones, se­cun­dum Ri­chardum in q. 15: prima, quia in eis est caloris na­­turalis magnitudo, /f. 4r./ que multum con­summit; 2a, quia nutrimentum in eis est causa o­pe­ra­cio­nis duplicis virtutis, sci­licet nutritive et augmentative; 3a, quia non ita in eis sicut in per­fectis est con­ple­xio viciorum; qui, licet non sint, tamen assuendi sunt, secundum sanctum Tho­mam 2<a> 2e q. 147. Secundi sunt mulieres <pre>gnantes[125] et lactantes propter duas ra­tiones: u­na est quia de­­bent accipere cibum non tantum per se, sed in perfeccionem[126] nu­tritivi; 2a, qui<a> pre­gnan­tes consuerunt varia et inordinata desideria diversorum ciborum et quando ita intensa quod, nisi ali<qu>o[127] modo possunt appetitui sa­tis­fa­cere, posset esse pre­iu­dicium fetus, secundum Ri­chardum. 3ij sunt egrotantes, quia in eis natura debilis est et ideo si daretur una vice simul, to­tum quod est necessarium con­venienti sustentacioni sue nature. gravaretur; sed, si daretur pluribus vi­ci­bus, con­fortatur natura et vigoratur; et ideo non obli­gantur. Quarti sunt nimium senes, quia in eis calor et virtus debilis est, quamvis sint sicci sic­citate opposita huiusmodi naturali, super­ha­bun­dat tamen in eis humiditas accidentalis ex in­di­gestione causata; unde si totus cibus quam eorum natura requirit per diem naturalem ab eis summeretur una vice, nimis agravaretur naturalis calor et non possent cibum convenienter digerere. Hec Richardus. Quinti sunt victum ne­ces­sa­rium lucrantes cum gravi labore, quia in talibus fit magis hu­mi­di consumpcio nec cum ieiunio convenienter possent et efficaciter laborare, dum tamen[128] adsit facultas a suo sacerdote petere dispensacionem et ille debet eis con­cedere; et hoc debet intelligi si illi non possunt aliter vivere; et qui suos operarios con­du­cere[129] volunt in diebus ieiunalibus nisi sub hac condiccione quod /f. 4v./ non[130] ieiunent, a peccato non excusantur. Et subdit Richardus quod si victum ne­ces­sarium cum labore, cum quo ieiunare <non possunt>, possunt acquirere, a peccato ex­cu­san­tur. Sexti sunt peregrini, scilicet si talis peregrinacio comode <non> differitur, non pec­cant, se­cun­dum Richardum. Septimi sunt victum necessarium ostiatim men­di­can­tes, quando scilicet tantum habere non possunt de elemosina quod <h>ora conmestionis quod ad victum tot<i>us diei commederet non sufficeret, vel eciam, secundum eum, inedia de­bi­li­tatis. Octavo de cursoribus dominorum, propter ni­mium laborem quem sustinent in cur­rendo; nota, secundum Guielmum, quod si moram fe­ce­rint, aut vel modicum vadunt, tunc tenentur. Nono ser­vitores nobilium, qui habent servire ad mensas eorum diucius pro­trahendis, si ex causa necessaria preveniant aliquantulum horam conmedendi, com­me­dendo ex toto vel ex parte modicum, ne deficiant in serviendo, possunt, se­cun­dum Tho­mam. Decimo servientes me­dio­cri<um>[131] personarum, qui surgunt de mensa domi­no­rum suo­rum ut vadunt ad portandum vinum vel alia, et revertentes iterum conmedunt, non pec­cant. Undecimo de medicis pre­gus­tantibus medicinas, sicut nec qui summit il­lam. Duodecimi: de seneschalchis pregustantibus ci­bos ante dominos pre timore veneni, non pec­cant. 13i de regularibus habentibus legere in mensa in refecto­rio: aliquid summunt ne deficiant, ex­cusantur si hoc faciunt de licencia prelati, se­cundum Guielmum.

Sed hic est una difficultas, utrum semper ieiuniorum sit obligatus quis peteret licenciam. Respondeo, secundum Guielmum: si constat de causa propter quam solvendum est, non est necessarium ut petatur dispensacio, presertim, ut dicit Thomas de consuetudine interveniente. Si autem dubium sit utrum sit causa necessaria, tunc pe­ten­da est dispensacio ab episcopo loci, si comode possit haberi, /f. 5r./ alias[132] a primo sacerdote.

Quantum ad tercium, scilicet quomodo ieiunia debent esse[133] condicionata, ubi nota septem con­diciones quas debet habere ieiunium, scilicet ut pla­ceat Deo. Primo, ut sit pium, id est cum e­le­mosina, unde Augustinus in quodam ser­mone: «Tale est ieiunium sine elemosina, qualis est lu­cer­na sine oleo». Unde, sicut faciebat Tobias qui faciebat vocare pauperes, ymo de mensa sur­ge­bat ieiunus ut mortuos sepeliret. Ysaie 56°: Hoc est ieiunium quod elegi, [58, 6]; videlicet col­li­ge fas­ciculos depri­men­tes [56, 8] <…> sunt peccata anima gravatur. Col­li­ga­ciones impietatis [58, 6] sunt vi<ncu>la[134], quibus anima <…> qui in vinculis colligitur, que sunt per pe­ni­tenciam dis­sol­venda[135]. Et hoc est ieiunium pium. Secundo, debet esse dis­cre­tum. Quod autem debeat esse dis­cretum patet quia in­discre­tum D<eo d>isplicet et dyabolo multum placet, quia per illud quis re­ducitur inpotens ad faciendum omnia bona et ad resistendum sibi, scilicet dia­bolo; et ideo dis­cre­tum sibi displicet; unde, cum magister Deoegenes[136] molto ieiunio se afflixisset, et con­me­dere<t> interdum ne corpus deficeret, apparuit ei dyabolus dicens: “Co­mede!”, come gulosa plus do­lens de commestione quam de abstinencia. Et ideo Paulus ad Ro­ma­nos 12, pre­ci­piens ut actor[137] gencium castigacionem cor­poris et penitenciam, dicens: Ob­secro vos ut exibeatis corpora ves­tra hostiam viventem etc. Et addidit: Racionabile obsequium vestrum. Sed secundum Ieroni­mum, et protestatur cum Nicolao de Lira, in Epistola ad Ro­manos 12°, super illo verbo racio­na­bi­le obsequium vestrum; dicit Ieronimus: de rapina ho­locaustum offerunt qui aus­te­ritate nimia cor­pus suum inmoderate affligunt. Et ad Corinthios 6: Ut castigati et non mortificati. Tercio de­bet esse sobrium ut sci­licet omnia cum mensura et pondere: Ecclesiastici 4°: Comedent filii Ysrael panem suum in pondere et mensura: et ad Romanos 13°: /f. 5v./ Non in com­mes­sa­cio­nibus et ebrietatibus. Au­gustinus: Mens, aviditate ciborum lassata, perdit oracionis virtutem; et De con­se­­cra­tione 5 capitulo Sint tibi, dicit quod sint tibi cottidiana ieiunia refeccio, sacietatem fugies, et merito, quia huiusmodi cibi et potus ingurgitacio est causa lascivie, ad remedium cuius est ieiunium ordinatum; unde distinctio XX capitulo primo dicitur: ventris ingluvies ad luxuriam facile provocat, et parum potest: venter et genitalia sibimet ipsis vicina sunt ut ex vicinitate men­bro­rum consideracio intelligatur viciorum et ideo sobrium. O carissime, vis ut te doceam qualiter fa­cies ut sit tuum ieiunium sobrium? O, sic: fuge gulam! secundum Thomam, 2a 2e q.147. Idem Ri­chardus. Quarto: ut sit mundum et sanctum, scilicet sine peccato. Joelis 2°: Sanctificate ie­iu­nium, vocate cetum et congregate populum, et clamate ad Dominum. A, a, a quia prope est dies Do­mini. Ieiunium sanctificare est per confessionem et per elemosinam propter peccatorum mul­ti­tu­­­dinem ab anima expurgare. Et nota[138] quod triplex A gracie intelliguntur, qu<e>[139] in omni pe­­­nitente et ieiunante sunt necessaria. Per primum A, gracia intelligitur cordis contricio. Per se­cun­dum A, oris confessio. Per 3m, operis[140] satisfaccio, qu<e>[141] in tribus consistit, scilicet in ie­iunio, elemosyna et oratione. Et infra: Egrediatur sponsus de cubili suo et sponsa etc. Unde ad Ro­manos 12°: Exibeatis corpora vestra hostiam viventem, sanctam, Deo pla­centem. Quinto: rec­tum et purum, non sicut eger infirmus, qui ideo non commedit, quia non potest; non sicut egens, quia ideo non comedit, quia non habet; non sicut cupidus ne expendat; non sicut gulosus, qui pertrahit horam ut avidius conmedat; non sicut ypo­crita ut laudetur[142]; sed ieiunia vestra sint solum propter Deum. Unde Mathei 8: Cum ieiu­na­tis etc.; Nolite thesaurizare vobis the­sau­ros in terra, ubi erugo et ti-/f. 6r./<-nea> demolitur et fures f<urantur>. Thesaurizate enim vo­bis in celo, ubi etc. Sexta[143]: quod sit leta. Mathei 8: Nolite fieri sicut ypocrite tristes, quia di­cit ad Corinthios 9: Hylarem enim datorem diligit Deus. Et ideo Deus in Matheo dat modum ut fiat cum leticia dicens: Tu autem, cum ieiunas, unge capud tuum et faciem tuam lava etc. Septima condicio: ut sit devotum, scilicet ut sit cum confessione et oratione. De oratione dicitur, Thobie 12°: Dixit Raguel: Bona est oracio cum ieiunio. Unde Cri­sostomus super Matheum: Sicut miles sine armis nichil est, nec arma sine milite, sic nec oratio sine ieiunio nec ieiunium sine oracione. Isydorus in Summo bono dicit: Hoc est perfectum et racionale ieiunium, quando homo exterior ieiunat et interior orat. Facilius enim per ieiunium oracio penetrat celum. De oracione et confessione, scilicet Iacobi 5° capitulo: Confitemini alterutrum peccata vestra et orate pro invicem ut salvemini etc.

 

Quantum ad 3um principale, la soa fructificacione: ista materia predicatur feria 4a post primam dominicam vel die dominico.

 

 



[1] Con Pietro Sorci sto lavorando all’edizione critica, di cui questo saggio è preparatorio.

[2] Bernardino da Siena, Prediche volgari sul Campo di Siena 1427, a cura di C. Delcorno, Mi­la­no 1989, Predica III, titolo anteposto alla predica che prende spunto da «Declaratio ser­monum tuorum illuminat, et intellectum dat parvulis» (Ps cxviii).

[3] Bernardino da Siena, Prediche volgari, Predica III, 39; si vedano pure le note ed i rinvii bi­blio­grafici del cu­ra­tore. La citazione ha particolare importanza, perché detta direttamente da Ber­nardino e non da altri (omessa però nella piú aggiornata vita del beato: F. Rotolo OFM Conv., Il beato Matteo d’Agrigento e la Provincia francescana di Sicilia nella prima metà del secolo XV, Palermo, 1996, p. 96), ma è ricordata da M. Sensi, Il Quaresimale del b. Matteo da Agrigento minore osservante (+ 1450) (Nocera Umbra, Bibl. Seminarile, cod. II/3), «Bol­let­tino Storico della Città di Foligno», XIX, 1995, pp. 7-74; lo studio è la relazione presentata al Convegno Francescanesimo e civiltà siciliana nel Quattrocento, Palermo-Carini-Gibellina 25-31 ottobre 1992. L’ottimo articolo inquadra il quaresimale nell’epoca, dà una buona descri­zione del codice (pp. 12-14), riguarda soprattutto gli aspetti storici; io, qui, seguo interessi filo­lo­gico-linguistici. Alle pp. 32-74 il Sensi pubblica «brani scelti tratti dal Quaresimale» e il Sermo De inferno e il Sermo De passione Domini.

[4] Rotolo, Il beato Matteo, p. 114, accenna a questa predicazione a Valenza, se­gna­lando la data della Pasqua (29/4/1427; errore di stampa per 20 aprile, poiché il 29 era martedì, e la Pasqua non potrebbe mai cadere così tarda).

[5] B. Matthaei Agrigentini O.F.M. Sermones varii, Edizione a cura di A. Amore, Roma 1960.

[6] Consulto il codice su foto, perché, a causa del terremoto che alcuni anni fa ha colpito la zona, sono ancora inaccessibili i fondi antichi. Non potendo dare completa de­scri­zione del codice, rimando a quella di Sensi, Il Quaresimale, cit. Altra descrizione materiale (senza tavola-in­di­ce), si trova in S. M. Gozzo, Due sermoni inediti del beato Matteo di Agrigento (seco­lo XV), in Noscere sancta. Miscellanea in memoria di Agostino Amore ofm (+ 1982), a cura di I. Vas­quez Janeiro ofm., Roma 1985, voll. 2; vol. I, pp. 247-281, in particolare pp. 262-266. Il p. Gozzo aveva visto il ms.; per quanto riguarda le varie mani le mie con­clu­sioni non concordano con le sue; anche la trascrizione, come ad es.: «Esta data gratis mos est ut malvasiam solvatur» (p. 265; ma si tratta di un leonino!). Lo studioso pubblica i primi due sermoni, in forma quasi diplo­ma­tica. Poiché non af­fron­ta il pro­ble­ma sull’autore che affiora fin dal primo sermone, e poiché la tra­scrizione è scarsamente punteg­gia­ta e non pre­ci­sa, preferisco ri­por­tare il primo testo (ci­terò, solo delle pri­me righe, le letture di­vergenti, ma non quelle grafiche non significative). In alcuni punti si ha il sospetto che lo studioso, taci­ta­men­te, si sia servito dei Sermones varii per ‘leggere’ il ms.; l’ope­ra­zione di per sé è lecita, pur se una ‘lettura ingenua’ la­scerebbe maggiore spazio alla vera deci­fra­zione del ms.; anch’io ho fatto e farò ricorso ai Sermones varii. Mi sembra doveroso aggiungere che lo studioso aveva ripreso le carte per preparare l’edi­zio­ne, con maggiore cura e con la ricerca delle fonti, lavoro rimasto incompiuto per la sua morte; il suo testo mi è servito come ‘testo di collazione’ e sta perciò alla base di questo la­vo­ro, soprattutto là dove le foto a mia disposizione sono quasi illeggibili per vari motivi.

[7] Nella trascrizione segnalo gli a capo, sciolgo le abbreviazioni, separo o unisco le parole se­con­do l’uso mo­der­no, metto la punteggiatura.

[8] N °h°. Il p. Gozzo, nel dattiloscritto: «Explicit. Homo vere scriptor vult precium habere. Ego frater Ulricus Lauff de Alemagna Von Campanion complevi auxiliante Deo hoc qua­dra­ge­si­ma­le, in die sanctorum Gervasi et Protasi anno 1448. Amen. Esca datur gratis, mos est ut ma­va­siam [errore di battuta?] solvatis»; parlando della mano A, scrive che si qualifica «frater Ulricus Lauff’ de Alemania von Campanion» Sensi, Il Quaresimale del b. Matteo, p. 13.

[9] Per confronto, aggiungo qualche formula, piú o meno seria, dal repertorio dei Bénédictins du Bou­veret, Colo­phons de manuscrits occidentaux des origines au XVe siècle, Fribourg Suisse 1965-1982. Dal tomo VI: «21058. Explicit hoc vere, scriptor vult pre­ci­um habere. Praha. Univ. 1935 s. 15 f. 284v»; «21059. Explicit hoc (hic?) vere, vinum vult scrip­tor habere. Vaticano lat. 1080 s. 14 f. 42». L’accenno al potum (e qualche scurrilità) domina in mol­te sottoscrizioni: «20921. Explicit, da mihi potum et puntschuch hadern, daz sind fuzztuch etc. Graz Univ. 440 (29/40) s. 14i f. 214v»;  «20978. Explicit explitiat, semper scribere erat. / Fi­ni­to libro, merda sit bar­ba magistro. Metz 66 s. 14 (exécution italienne)»; «2164. Explicit liber, sit scriptor crimine li­ber. / Explicit expliceat, ludere scriptor eat. / Vinum scriptori debetur de meliori. Bern (Bongars) 63 s. 15 f. 240v». Il nostro codice, con explicit originale e datato, è sfuggito allo spo­glio.

[10] In N un segno lasciato in sospeso, forse l’abbozzo di hoc che segue.

[11] Cioè il 19 giugno, che, secondo A. Cappelli, Cronologia, Cronografia e Calendario per­pe­tuo, Milano 1978 (IV ediz. aggiornata), era la data della festa a Milano, Parigi, Sois­sons, Nevers.

[12] Eccetto le due ultime parole.

[13] Non cambia la visione, se chi ha copiato dall’originale sia stato frate Ulrico o se questi ha tra­scritto da altro antigrafo: qualcuno si è certamente confrontato con il difficile originale.

[14] Difficilissimo pensare che il copista confondesse, pur se in abbreviazione, desinenze del tutto diverse. Altro errore nel Quadragesimale: «super hunc ramum nidificat unus avis, qui vocatur pavo»: avis è femminile, ‘uccello’ maschile (ma nei Sermones varii, avis ista, p. 47). Del resto, l’autore non si faceva scrupolo di ‘inventare’ le parole: nel De paradiso: «[…] de li beati la im­mo­racione, ibi: qui habitant in domo tua» (Sermones varii, p. 135): è evidente che immo­ra­zione deriva dal clas­sico immorari; in S. Battaglia, Grande Dizionario del­la lingua italiana (GDLI), Torino 1961-2002, la voce non esiste, mentre è registrato im­mo­rare, con testi dal Sarpi in qua; nessun esempio nella LIZ (Letteratura Italiana Zanichelli).

[15] Sermones varii, pp. 133 e 130, De equo spirituali; citazione corretta si trova in De servitio Dei seu de vita christiana, ivi, p. 187. In questo caso si deve cor­reggere, o almeno avvisare in ap­pa­rato, per­ché lap­sus ba­nale e non ‘errore d’autore’ in senso stretto filologico.

[16] Il testo è stato edito da P. Palumbo, Palermo 1954, I; 1956, II; 1957, III. Per le notizie sul­l’au­to­re, ivi, I, pp. XIVss. Non tutti gli studiosi sono d’accordo nell’attribuire l’autografo a fra Nic­co­lò; per alcuni aspetti sulla predicazione si ve­­da il mio Una ‘drammatica’ “Lamentatio Vir­gi­nis”, su questa rivista, LIII, 2001, pp. 255-285. Un «Sermo de acerbissima Passione Do­mi­ni nostri Iesu Christi, con l’inserimento di ver­si in volgare che dovevano essere pronunziati dai vari personaggi» si trova anche fra le pre­di­che di Roberto Caracciolo (+ 1495), di altra cer­chia però rispetto a Bernardino; cfr. il pa­ragrafo S. Bernardino e la civiltà dei pre­di­catori, in G. Bàrberi Squarotti (dir.), Storia della ci­vil­tà letteraria italiana. Volume secondo. U­ma­nesimo e Rinascimento, di R. Rinaldi, Torino 1990, pp. 357-378; il no­stro è ricordato solo co­me «quel Mat­teo d’Agrigento che era forse spa­gno­lo di nascita» (p. 373). Da dove derivi que­sta idea non so; forse dal presunto cognome di eti­mo spagnolo: cfr. Ro­tolo, Il beato Matteo d’A­gri­gento, p. 88. A quanto dice il Rotolo, si ag­giunga san Ber­nar­dino, citato all’inizio, che lo chia­ma «di Ci­ci­lia». L’appellativo, di per sé, non è dirimente, da­to che Nicola di Bari è detto di Mira (ma pare sia nato a Patara in Licia), Antonio da Pa­­do­va è di Lisbona, Ber­nardino da Siena è di Massa Marittima, Madre Teresa di Cal­cut­­ta è albanese! Chissà in quanti altri casi si verifica questo strano locativo!

[17] Cfr. Rotolo, Il beato Matteo d’Agrigento, p. 85; la data di nascita è posta tra il 1380 e il 1390, preferendo però la prima.

[18] Sermones varii, pp. 191-195. Manca la numerazione di versi, ma si tratta di 25 strofe. Il testo di questo sermone, però, come già detto, non è autografo (ivi, p. 41). Nel catalogo del Ten­­ne­ro­ni è indicato un codice con lo stesso incipit, il: «cartac. 43. B. 31. della Bibliot. Cor­si­niana di Ro­ma» (A. Tenneroni, Inizii di an­ti­che poesie italiane religiose e morali…, Firenze 1909, p. 25), consultato dal p. Amore con altri testimoni, come si legge nella de­scri­zio­ne (pp. 40-41). Ac­cen­na al sermone C. Delcorno, in Letteratura in forma di sermone. I rapporti tra pre­dicazione e let­teratura nei secoli xiii-xvi, a cura di G. Auzzas, G. Baffetti, C. Delcorno, Fi­ren­ze MMIII, p. 7.

[19] In proposito credo corretto riportare le parole del p. Amore: «Sento il dovere di rin­gra­ziare il mio caro amico e confratello P. Bruno Korosak, membro della Commissione per l’edi­zio­ne del­le opere di Duns Scoto, il quale con la sua ormai nota perizia e perspicacia si è gentilmente ad­dos­sata la non lieve fatica di rintracciare le fonti letterarie di tutti i sermoni» (Sermones varii, p. 8).

[20] Sermones varii, p. 115. Per le citazioni dantesche, si veda C. Bologna, L’Ordine fran­ce­scano e la let­teratura nell’Italia pretridentina, con accenni alla lingua, ai quaresimali mescidati, e al­la predicazione di Bernardino da Siena e d’altri, in A. Asor Rosa (dir.), Letteratura ita­liana. Il let­te­rato e le istituzioni, Torino 1982, pp. 729-797 (in particolare p. 796); e il ca­pi­to­lo pre­ce­dente di R. Antonelli, L’Ordine domenicano e la let­te­ra­tu­ra nel­l’Italia pretridentina, pp. 681-728.

[21] La terzina completa è ricordata da Bernardino nella predica del 7 settembre 1427; cfr. Ber­nardino da Siena, Prediche volgari, Predica XXIII, 102. Questo potrebbe far pensare che il beato non avesse letto Dante.

[22] Sermones varii, pp. 122-123. L’annotazione apre il capitolo sulle ‘fonti fran­ce­scane’, in cui con Iacopone dovrebbero confluire tanti, come san Bonaventura, etc.

[23] Sermones varii, p. 96.

[24] Sermones varii, p. 119.

[25] Sermones varii, p. 93.

[26] Cfr. Uguccione da Pisa, De­ri­va­tiones, Edizione critica princeps a cura di E. Cecchin et alii, Firenze 2004, II, p. 336 (voce disco); ma lo spunto è nell’incipit di Isidoro: «Disciplina a dis­cen­do nomen accepit» (Etym. I.i.1). Il controllo si dovrà estendere ad altri etimo­lo­gi­sti, poiché, ad esempio, mentre il beato scrive: «Nota quod humilis dicitur quia vix inter mille u­nus in­ve­nitur qui sit humilis et humilitatem sectetur. Humilis, id est uno untra mille» (Sermones va­rii, p. 122): untro sarà intra (in volgare; anzi, con grafia yntra, come tante volte in testi siciliani); scrive Isidoro: «Humilis quasi humo adclinis» (Etym. X.11); Uguccione praticamente ripete Isidoro ed anche Papias Vocabulista (Venezia 1496; anast. Torino 1966). Questo etimo, di chiaro tenore me­dievale, potrebbe essere anche di Mat­teo, aiutato forse da grafie come umille o dal super­la­tivo humillimus. E cosí strana mi pare: «Scandalum grece idem est quod obest latine» (Sermones varii, p. 141); «Latine sonat offensio, ruina vel rixa» (Papias); Isidoro e Uguccione ignorano la voce, se non nella forma scandula, genus annone. Proprio per le etimologie, vedi anche L. Lazzerini, «Per latinos gros­sos…». Studio sui sermoni mescidati, «SFI», XXIX, 1971, pp. 219- 339, in particolare pp. 323-324.

[27] Sermones varii, p. 75.

[28] Come si legge ad esempio nel Liber usualis Missae et Officii […], a So­lesmensibus Monachis diligenter ornato, Parisiis-Tornaci-Romae-Neo Eboraci 1962.

[29] E, se Ulrico avesse copiato dall’originale, sarebbe per lui bella attenuante; ma il se rimane.

[30] Sermones varii, p. 19.

[31] Soprattutto se la loro lettura è difficile e quasi impossibile; esse dànno maggiore evidenza al tra­vaglio ‘creativo’ e magari spingono la curiosità di qualcuno a ci­men­tar­si nell’impresa.

[32] Nella Introduzione il p. Amore scrive che san Giovanni da Capestrano «ha messo tutti i nu­me­ri ai fogli del codice e qua e là delle note marginali e titoli facilmente individuabili» (Sermones varii, p. 14); purtroppo, nella descrizione del codice non vengono fornite le misure, perciò non ci si rende conto della grandezza dell’originale né della riproduzione.

[33] Sermones varii, p. 33.

[34] Sermones varii, p. 41.

[35] L’intento del recensore, postillatore, eventuale ri-editore è, o dovrebbe essere, mi­glio­ra­re il testo, non già di entrare in competizione con chi, in altri tempi e con altri mezzi e metodi, è stato pioniere.

[36] Sermones varii, p. 21. L’analisi, comprese le citazioni, ricopre le pp. 20-39.

[37] Sermones varii, p. 33.

[38] Sermones varii, p. 155.

[39] Ad esempio, nel non autografo Sermo Passionis D.N.J.C., si legge: «Tenuerunt etiam Jo­han­nem (sic) qui relicta sindone qua erat indutus profugit ab eis» (p. 212): il sic metterebbe in evi­den­za un errore d’autore (o di copista); ma il nome è giusto, stando ad Act 12, 12: Marco si chia­ma­va Giovanni («Io­an­nis, qui cognominatus est Marcus»), ripetuto subito dopo in Act 12, 25: in questo e nel giovane del lenzuolo è comunemente identificato l’evangelista Marco.

[40] G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino 1966, § 280. La forma settentrionale potrebbe essere vestigio del con­ti­nuo vagare del predicatore.

[41] Il testo è carente di punteggiatura e talora di distinctio, forse per eccesso di prudenza; ad es.: «mort el fil­glo­lo splen­dore de tucte genti» (str. 1), andrebbe letto «mort’è ’l filglolo, splendore de tucte gen­ti»; «pian­gamo co lochi et col core»: co l’ochi, etc.

[42] Ma il siciliano ha certo reputatrici, puro latinismo (cfr. Marcu Di Grandi, La resurressioni, a cura di C. Del Popolo, Alessandria 2000, v. 553: Cristo «cachau di fora li re­pu­ta­tri­chi» quando risuscitò la figlia dell’archisinagoco di Mc 5, 22; e si noti la grafia con ch per la palatale); e cfr. pure il DEI, riputare, ri­pi­tare.

[43] Il p. Amore ha cercato di dimostrare per i contenuti che l’autore sia siciliano (pp. 17-18); l’a­na­lisi linguistica di qualche elemento dialettale è conferma: si vedano, oltre a quanto ac­cen­na­to nel testo, le -u finali in tanti casi, le grafie canchella (Sermones varii, p. 71), dulchiza (p. 74), le forme davit per dabit (p. 74), vis­coctos per biscoctos (p. 78) e per contro baccas per vaccas (p. 151), anchi (‘etiam’, p. 153), an­te conam essendo la voce meridionale per iconam (p. 95), may­ti­na (p. 172); «si Deu ti guardi» (p. 178, corrispondente a utinam!); «Peiu è che ’l veru» (p. 145); «omni bellicze» (p. 154: è singolare); la grafia dissipuli (p. 85), dissiplina, dis­siplinatus è piuttosto set­ten­trio­nale (anche se non man­ca di­sciplina, p. 93), ma conscistorium (p. 167) indica incertezza; considera errato sblendet per splendet Sensi, Il Quaresimale del b. Matteo, p. 14, ma la forma è meridionale.

[44] L’editore, infatti, indica piú mss.; cfr. Sermones varii, pp. 40-41.

[45] Sermones varii, pp. 174-175. Ho però aggiunto altri segni diacritici e la commatizzazione. Si notino gli ausiliari, talvolta anche omessi.

[46] Si tratta certo di un nominativo enfatico di tipo biblico (cfr. «Deus, Deus meus, respice in me, quare me dereliquisti?» Ps 21 [22], 1; e poi Mt 27, 46; Mc 15, 34).

[47] Impugnato: intensivo di pugnare, quasi sinonimo di tentare (GDLI, voce impugnare2); con sfumatura diversa al n. 15.

[48] Evidente latinismo, non registrato nel GDLI (né presente nella LIZ).

[49] Sospetto un loco, dalla grafia yn (per cui  vedi n. 26): «Vado parare vobis locum» (Io 14, 2).

[50] Cfr. GDLI, fallare, n. 8.

[51] Sermones varii, p. 225.

[52] Sermones varii, p. 96, oltre che a p. 228.

[53] Forma siciliana: ‘sei’ (es), anche nella strofe successiva, corrispondente al trecentesco to­sca­no .

[54] Sermones varii, pp. 178-179.

[55] Tenneroni, Inizii di an­ti­che poesie, indica presente nel Marc6: «cartac. Cl. IX. 230 della Mar­ciana, appart. ad Ap. Zeno, sec. XV», come «Lauda de­vo­tissima de excellentiis Jesu». Le stro­fette non si trovano fra le 126 della lauda Iesú faccio lamento, delle quali la stragrande mag­gio­ranza è anaforica, nell’edizione Tresatti (Le poesie spirituali del B. Iacopone da Todi frate minore…, con le scolie [sic, femminile; ma il GDLI lo dà solo maschile] et annotationi di fra F. Tre­satti, Venezia, Appresso Nicolò Misserini MDCXVII, pp. 867-873). Il testo poetico è pub­bli­cato dal Sensi, Il Quaresimale, cit., pp. 52-53.

[56] Sermones varii, p. 186; cosí l’editore: «Tucti li beni che con cor non fay, may son accepti ne merito day».

[57] Sermones varii, p. 91. La mancanza del dittongo in vol e conven rimanda al siciliano.

[58] Sermones varii, p. 133. Il vocalismo tonico siciliano si vede in cortise, spise. Nello stesso sermone, p. 129, un errore di stampa: requitur per requiritur; ma, a dir vero, sono parecchi gli errori certi di stampa (p. 68, caputanguli per caput anguli, «Aspicientes serpentes sanabantur»  riferendosi al serpente di bronzo dovrebbe essere singolare; p. 69, «de ligno misso in aquis Mirat» [ma in Ex 15, 23 si legge Mara o la variante Marath]; p. 73, «pre cultibus angelorum», invece di vultibus; p. 105, «ascendunt ad sures Dei», aures; p. 120, seuitur per sequitur; p. 123, tantan per tantam; etc.).

[59] Addirittura, in Sermones varii, si legge: «Et quicunque fecerint contentor quod de omnibus bonis que peragam in ista XLa debeant partecipare…» (p. 81): si tratta di una predica di quaresimale!

[60] In alto a destra, nella c. cxjr, c’è una nuova numerazione, che parte da 201 a 209 e poi séguita con 300-309, 400, etc., con stranissima numerazione fino a 1000 (c. clxxxviijr) e poi resta so­spesa.

[61] In N: «dgubinatis», con taglio sulla d. Il dubbio sulla data riguarda solo l’ultima cifra. Il Goz­zo, Due sermoni inediti, legge: «Iste liber est frater (leggere: fratris) Marinangelus de Noccia (= Nocera) Frater Protasius de Gabinalis de l 5393 de Iulius […] la seconda si potrebbe in­ter­pre­ta­re: […] del 1539 4 de Iulius» (p. 263). «Iste liber est fr. Marinangelus (!)  de Noceia / fr. Protasius de Gabinalis del 1539, 3 de iulius» scrive Sensi, Il Quaresimale del b. Matteo, p. 14.

[62] Sermones varii., p. 77.

[63] Il testo completo di questo primo sermone, come già detto, si potrà leggere piú avanti.

[64] Nei Sermones varii il nome si trova tre volte, come scrive il p. Amore (p. 18).

[65] Sermones varii, p. 19.

[66] Osservazione: un quaresimale, per natura, dovrebbe avere un numero di prediche cor­ri­spondenti ai giorni della quaresima stessa; ora nel nostro codice, tolti gli ultimi tre che sono pa­squa­li, restano quarantuno sermoni (del n. 29 c’è solo il titolo). Tutte le sei do­me­niche sono pre­senti; la settimana santa ha esplicitamente il lunedí, il martedí (e tratta De corpore Christi!) e il mer­coledí, seguiti da due sermoni prima di quello di Pasqua; nella prima settimana, partendo dal Mer­coledí delle ceneri (ben si addice il De ieiunio), manca il sermone per la feria sesta; e mancano altre prediche feriali. Si vedano poi nella tavola i sermoni nn. 5-6, 10-11, 31-32: a chi ad­debitare queste situazioni? A meno di volere con­si­de­ra­re parte integrante del Quaresimale an­che i sermoni aggiunti dalla secunda manus.

[67] L’aggettivo non sarebbe un problema, dato che di ecclesia agrigentina si parla in documenti del 1220; cfr. la voce di G. B. Pellegrini, in Dizionario di toponomastica, Torino 1990.

[68] Sermones varii, p. 39. Il testo, a p. 188.

[69] Sensi, Il Quaresimale del b. Matteo, affronta il problema di frater Antoni, ma non quello di frater A. (p. 17).

[70] Cfr. le voci Berta di G. Petrocchi e Martino di P. Mazzamuto, in Enciclopedia Dan­te­sca, Roma 19842; per Pietro si veda s.v. nel GDLI. Altri nomi esemplari si possono vedere in Lazzerini, «Per latinos grossos…», pp. 264-65.

[71] Sensi, Il Quaresimale del b. Matteo, pp. 20-21 fa delle ipotesi, per cui sarebbe posteriore al 1427.

[72] Mi riferisco alle fonti, che non sempre sono riconoscibili; ed anche alle parole impossibili, o perché non si riescono a leggere o perché inesistenti (molto probabilmente per errore) ed a tutti quei problemi che conosce chi si dedica alle edizioni di testi.

[73] Hieronymus Epistularum pars I. Epistulae I-LXX, edidit I. Hilberg, Editio altera sup­ple­mentis aucta, Vindobonae MCMXCVI. Segnalo le differenze di lezioni dell’apparato, per fare ri­levare che il testo usato dall’autore era vicino a k (sigla dell’editore: Vaticanus lat. 650 s. X). In apparato si ha un allidet (k) allidit (B: Berolinensis lat. 18 s. XII).

[74] In apparato putabam (S: Turicensis Augiensis 41 s. IX;  k.)

[75] Lezione presente in apparato (k).

[76] Sulla lingua in generale, cfr. Lazzerini, «Per latinos grossos», passim. Un’osservazione: Ber­nar­dino da Siena, Prediche volgari, dà il tema in latino e ogni tanto fa delle citazioni in latino che in linea di massima traduce; Matteo invece fa le distinzioni in volgare e ogni tanto infioretta col volgare il suo latino.

[77] Sermones varii, p. 92.

[78] Sermones varii, p. 87.

[79] Cfr. s. v. nel GDLI.

[80] L. Bolzoni, La rete delle immagini. Predicazione in volgare dalle origini a Bernardino da Sie­na, Torino 2002, pp. 150-155. Cfr. pure Lazzerini, «Per latinos grossos», pp. 264-268. Le studiose non accennano al beato Matteo.

[81] Per la grafia cosse vedi la n. 42.

[82] Si noti la grafia per splendet, che in siciliano è sbrínniri, sbrènniri (cfr. s. v nel Vocabolario siciliano, fondato da G. Piccitto, diretto da G. Tropea, IV, Palermo-Catania 1997). Al siciliano rimanda il passato remoto dei due fecisti, dato il contesto, anche se possono sembrare in latino.

[83] La lezione è incerta, ma il significato chiarissimo; si potrebbe infatti: «quod si unum aliud <l>itrum [oppure: utri] vini». In latino medievale, stando al Glossarium Mediae et Infimae Latinitatis…, a C. Du Fresne D. Du Cange… auctum… a G. A. L. Henschel, Niort 1886, si do­vrebbe avere litra, per grecismo, attestato nel 1254; è evidente che si tratta di me­ta­pla­smo.

[84] Nei Sermones varii, pp. 79-80, le categorie sono nove.

[85] Probabilmente Guglielmo di Auxerre; ma si dovrà approfondire.

[86] Nella trascrizione, conservo la grafia, non inserendo il dittongo né tantomeno abolendo le grafie del tipo -ngn- o del continuo scambio c/t, ma distinguendo u da v perché sicuramente diversa era la pronuncia dell’epoca, servando la j solo nei numeri romani, sciolgo le abbre­viazioni segnalando quelle anomale, inserisco punteggiatura e distinctio secondo l’uso moderno, in­te­gro fra pa­ren­te­si uncinate; inoltre indico ogni folium fra barre obli­que, cosí /f. 1v./; metto in corsivo le parti in volgare, af­fin­ché risaltino subito, ed anche le citazioni esplicite bibliche. Per co­modità tipografica, qui preferisco evitare due fasce, una per l’apparato critico e l’al­tra per le note. Questa semplicità si riflette nell’assenza del rin­vio al­le fon­ti, conservandolo per l’e­dizione; ecce­zio­nal­mente segnalo tra pa­ren­tesi quadra qualche fonte non espres­sa­men­te in­dicata dallo scrittore.

[87] De isto] Ratio de ipso Gozzo.

[88] N in margine: Nota.

[89] soa] sua Gozzo.

[90] De consecratione, distinctio 5] de 2 et 4 Gozzo. 

[91] omnia] duo Gozzo.

[92] fiunt] sunt Gozzo.

[93] L’abbreviazione non è usuale.

[94] Suppongo, stando al testo di Isaia, un omoteleuto, come anche piú sotto al «Tunc… Tunc».

[95] eo<s>] eas.

[96] N la u è corretta su una c.

[97] es<se>] est.

[98] L’abbreviazione nella parte iniziale è poco chiara; leggo virtuale per analogia con i Sermones varii, p. 76: «naturale, virtuale, ecclesiasticum»

[99] ali<is> animali<bus>] alia animalia.

[100] falsum: riferito al digiuno: ‘quello degli animali è un falso digiuno’.

[101] quis summit] quis subtilia (espunto) summit.

[102] cum ieiunium] cum d (cassato) ieiunium.

[103] corporali] corporalis.

[104] exemplum nam] exemplum inc (cassato) nam.

[105] La festa di Filippo e Giacomo, ricorrendo allora al primo maggio (oggi al tre), non potrebbe mai trovarsi fra due Pasque, poiché l’ultima data utile è il 25 aprile, con conseguente Dominica in al­­­bis al 2 maggio, che rimane comunque nel tempus paschale. Suggerisce di leggere: «in­fra Pas­­­cam et Pen­tecostem» Pietro Sorci; o anche, per l’uso del volgare, «infra Pascam <Resur­rec­ti­o­nis> et Pas­cam <Pentecostis>».

[106] vi<m>] vis.

[107] N in margine: Nota.

[108] tempor<a>] tempore.

[109] potest] prima della p una barra verticale, quasi inizio della s di satisfacere.

[110] N in margine: 2m principale.

[111] ist<a>m] istum.

[112] Questo appello a patres et matres fa pensare ad un discorso preparato per un pubblico comune (un po’ prima ricorda che «tam re­li­gio­si quam seculares» sono obbligati al digiuno); cosí anche l’ac­cenno che segue alle varie categorie: l’ammalato, l’innamorato, il mercante, ma non man­che­rà il lettore nei conventi.

[113] Neapolim? Non vi è dubbio sulla lettura della parola. Il senso non è chiaro. Un brano simile si trova nei Sermones varii: «Sed, o boni parentes, semper filios instruatis ad minus semel in eb­do­mada ieiunare, propter graciam impetrandam et propter divinam iram mitigandam, sicut Ni­ni­vi­te, etc.» (p. 79): questo è il primo sermone napoletano, come già detto sopra. Il sospetto è du­pli­ce: sul sunt, e su Neapolim (a piene lettere). Se questo testo è stato scritto dopo i Sermones varii, e non ci sono elementi di datazione, si può pensare che il nome proprio sia il ricordo di qual­cosa accaduta a Napoli in seguito alla sua predicazione. Io credo che frate Ulrico abbia tra­vi­sato un «sicut fuit Nea­po­lim», restando sempre a Napoli. Mi sembra molto difficile chiarire con Ninivite, no­nostante il ri­cordo biblico e nonostante che altrove si legga: «Celebrato ieiunio, mi­sertus est Do­minus Ninivitis» (p. 160). Eccetto che vi sia una lacuna.

[114] Qui e altrove il quaranta è evidente richiamo al digiuno quaresimale.

[115] aliu<m>] aliud.

[116] possum ieiunare] possum p (cassato) ieiunare.

[117] Cu<i> e<g>o] Cum eo.

[118] vole<r>e] voleve.

[119] Il testo non scorre bene: forse «<è> e·sser<à> felice».

[120] Il brano in volgare è riportato anche in Sensi, Il Quaresimale del b. Matteo, p. 34: «Ex­clama: O mundo ciecho, o mundo paczo! meiore fare penitencia est per andare in paradiso che per andare accasa dedixiosa non volere ieiunare, per una misera delectacione carnale, per la quale ne perde l’anima; el corpo volene ieiunare e per acquistare quello in­com­mu­­tabili e infinito bene per lu quale l’anima e lo corpo sempre essere felice non non pos­se ieiunare. Respondebis Deo tibi ista proponenti, o peccatore!».

[121] dicitis, doce: si notino i due verbi, uno singolare ed uno plurale, discordanza molto in uso anche nel volgare.

[122] preterire] pretere (cassato) preterire.

[123] cum cunsuetud<ines>] cunsuetudo. L’errore è forse causato dall’apparente ablativo.

[124] N in margine: 2a pars.

[125] <pre>gnantes] prime gnantes (a tutte lettere).

[126] in inf perfeccionem] in inf perfeccionem.

[127] ali<qu>o] alicio.

[128] dum tamen] ta (cassato) dum tamen.

[129] conducere] c (cas­sato) conducere.

[130] non] quod (ripetuto a inizio carta) non.

[131] mediocri<um>] da contrapporre a nobilium di sopra; se no, sono i servi di poco conto.

[132] alias] haberi (ripetuto a inizio carta) alias.

[133] esse] essent (cassato) esse.

[134] vi<ncu>la] vilia.

[135] Il senso generale e la sintassi obbligano a pensare a lacune, tanto piú che all’inizio c’è la citazione di Isaia, quasi corretta (nonostante gli omoteleuti); per questo credo che si tratti ancora di errori del copista.

[136] Ignoro chi fosse. Ma la lezione è esatta?

[137] actor? Sarà pastor, apostolus; o ancora: «precipiens, ut a<u>tor gencium, castigacionem»; nel Medio Evo la confusione fra autor e actor era comune, come attesta anche Dante nel De vul­gari eloquentia; actor potrebbe essere Dio, fattore di tutto; ma il gentium seguente, forse con trivializzazione, fa pensare a Paolo.

[138] N in margine: Nota.

[139] qu<e>] quo.

[140] operis] operis operis.

[141] qu<e>] qui.

[142] Molto piú incisivo nei Sermones varii: «(Hic nota eorum mores, quia uxoribus dicunt: ‘Istud as­sa, istud lissa; quia ieiunamus, bene comedamus!’). Ante ieiunium ut sint fortes ad ie­iu­nan­dum fa­­­ciunt magnum convivium; in die ieiunii comedunt multum; in sequenti die, quia ieiuna­ve­­runt, ni­­mis comedunt: ecce, pro semel ieiunare, tres dies volunt se saciare» (p. 80; ho mutato un po’ i se­­gni di punteggiatura; però, per avere senso, necessita che ci sia il digiuno pro semel, e bi­so­gne­­rebbe leggere «in die ieiunii comedunt <non> multum»; e tres dies sarà da intendere ‘l’abbondanza del giorno di prima, il cibo un po’ ridotto nel giorno del digiuno, e l’abbuffata del successivo: mangiano dunque a sazietà in tre giorni’. Si notino anche i due versi: «Ecce, pro semel ieiunare, / tres dies volunt se saciare»).

[143] Sottinteso condicio, come al numero successivo.